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Bad Brexit per Londra!

A quasi un anno dall’accordo Brexit di dicembre 2020 arrivano i primi problemi rilevanti per il primo ministro Boris Johnson. Infatti il Regno Unito è in ginocchio: manca cibo dagli scaffali dei centri commerciali, e alcune pompe di benzina sono vuote. Già due settimane fa Downing Street ha annunciato lo slittamento da ottobre a metà 2022 dell’inizio dei controlli sulle merci importate dall’UE.

I primi risultati della Brexit non sono incoraggianti. Molti inglesi rimpiangono gli accordi con il vecchio continente dati i problemi burocratici creatisi, soprattutto per i lavoratori della frontiera. Con la Brexit il Regno Unito puntava a riprendere il controllo dei propri confini, ma al momento gli unici controlli in vigore sono quelli europei sulle esportazioni britanniche verso l’UE. A complicare i problemi è arrivata la riduzione della fornitura di benzina. Infatti, a causa della mancanza di camionisti che attraversano il Baltico, al momento le stazioni di servizio britanniche coinvolte sono solo l’1% delle 8.380 .

Quali scenari?

La soluzione più semplice sarebbe allentare le (strette) maglie della Brexit per la concessione dei visti agli autotrasportatori europei e offrire salari più alti per cercare di fermare la falla, anche nel medio termine.

Nel frattempo, Boris Johnson ha annunciato il primo provvedimento per affrontare il problema delle lunghe code e dei distributori di benzina chiusi dicendo che

“i mezzi militari dovranno tenersi pronti per aiutare a consegnare il carburante nei distributori, se ce ne fosse bisogno”.

Una seconda mossa di Johnson per contrastare tale carenza è stata il rilascio di 10 mila visti temporanei di tre mesi a lavoratori stranieri, mentre altri visti sono in arrivo per migliaia di lavoratori nelle fabbriche di carne. La Brexit ha reso più difficile l’assunzione di cittadini europei e con la pandemia molti lavoratori stranieri sono tornati nei loro paesi d’origine.  In mancanza di manodopera nei settori essenziali, il rischio è che le interruzioni della catena di approvvigionamento di questi mesi si estendano alla stagione dei consumi natalizi, rallentando la ripresa economica. Viene così meno una delle promesse cardine della Brexit: la fine dell’eccessivo affidamento sulla forza lavoro straniera a basso costo.

Qualche numero

Per la precisione, secondo le cifre dell’Ufficio Nazionale Statistiche, i posti vacanti sono saliti a un livello record di 1.034.000 , con un incremento di 249.000 mila unità in più rispetto al periodo pre-pandemico.  

Number of vacancies Uk

L’impatto del COVID

Alcuni esperti, collegano la mancanza di lavoratori disponibili più con il Covid-19 che con la Brexit, sostenendo che è la necessità di isolarsi di chi è entrato in contatto con una persona contagiata ad avere accentuato il fenomeno. Varie catene di ristorazione hanno notato che il gap tra posti disponibili e lavoratori pronti a occuparli è cresciuto anche in Irlanda del Nord, la regione che più dipendeva dai rapporti con la Ue. Inoltre, il paese è stato tra i primi a raggiungere una quota molto elevata di vaccinati, fatto che ha permesso una riapertura delle attività in tranquillità. Questo ha incoraggiato la restante popolazione a vaccinarsi e a non temere per ulteriori contagi. Dal rapporto del Comitato inglese per l’assistenza sociale e sanitaria si nota anche che la campagna vaccinale sia stata la migliore mai riuscita, togliendo i dubbi sulla colpevolezza della Brexit.

In parallelo un altro dato illustra gli effetti deleteri della Brexit: la carenza di polli (o meglio, della carne di pollo). La catena di ristoranti Nando’s ha infatti dovuto chiudere temporaneamente alcuni locali. Proprio per questo non riceve più abbastanza polli dall’Europa per le norme più complicate sull’importazione di prodotti alimentari.

Irlanda del Nord: un nodo da sciogliere

Londra vorrebbe anche riscrivere il protocollo sull’Irlanda del Nord: se dapprima era pensato per preservare gli Accordi del Venerdì Santo, adesso le merci in arrivo a Belfast devono passare sotto una moltitudine di controlli doganali, causando ulteriori ritardi nell’approvvigionamento. Una prospettiva non gradita dall’UE ma neanche da Biden, che ha anche congelato le prospettive di un accordo commerciale USA-UK. In mancanza di un riferimento oltreoceano, il futuro commerciale del Regno Unito passa ancora dal dialogo con Bruxelles. Lo ha capito anche Boris Johnson, che ha infatti tentato di ricucire subito con i francesi (infuriati per l’accordo AUKUS sui sottomarini).

Conclusioni

La strada per una normalizzazione delle relazioni con l’Europa resta lunga e al momento la “Global Britain” resta una “European Britain”.

Se inizialmente la Brexit era una pretesa di rimanere indipendente dalle decisioni di Bruxelles, è chiaro che l’Uk non sia organizzata sufficientemente per rimanere isolata. E così, senza la manovalanza europea, l’economia britannica non può funzionare a pieno ritmo, frenando una potenziale ripresa ordinata di un’economia post-Covid.

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