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Brexit means Brexit

Da più di un mese ormai il Regno Unito ha definitivamente lasciato il mercato unico europeo, e Brexit è “finalmente” realtà. Dopo l’uscita formale dall’UE nel gennaio del 2020, UK era rimasta dentro al mercato unico e all’unione doganale, ritirando i propri rappresentanti dalle istituzioni comunitarie, mentre adesso anche i legami previsti dal periodo di transizione sono stati rimossi. Tra sandwiches sequestrati alle dogane olandesi, penuria di prodotti alimentari nei supermercati, ritardi ed extra costi sulle spedizioni, possiamo trarre alcune prime conclusioni sulla recente situazione post-Brexit.

Il Deal UE-UK, raggiunto il 24 dicembre 2020 e celebrato da entrambe le parti come un successo, ha scongiurato sì l’imposizione di dazi all’importazione e di quote sui beni commerciati, ma non ha potuto evitare l’introduzione dei controlli di frontiera e vari ostacoli burocratici, quindi barriere non tariffarie prima inesistenti come la necessità di dichiarazioni doganali, licenze speciali, certificazioni, test di conformità e restrizioni alimentari sui prodotti importati, che stanno per il momento rallentando significativamente le spedizioni e comportando costi aggiuntivi per imprese e consumatori. Molte aziende stanno ancora avendo difficoltà ad adattarsi alle nuove procedure burocratiche, mentre a gennaio alcune grandi compagnie logistiche come DHL e DPD hanno sospeso temporaneamente le esportazioni verso l’UE per adattarsi al nuovo sistema; secondo una delle principali associazioni di trasporto merci, la Road Haulage Association, ci sarebbe stato un calo del 68% sul volume dei beni esportati nell’UE rispetto allo stesso mese nel 2020. Alcune compagnie considerano invece antieconomiche le spedizioni verso l’UE e hanno deciso di ripiegare su altri mercati o trasferire le loro filiali direttamente in Europa. Il Guardian riporta inoltre come dall’1 gennaio molti consumatori siano rimasti sorpresi nel dover pagare un costo alla consegna (anche più di 100 euro di tasse) non previsto al momento dell’acquisto di prodotti online. I nuovi ostacoli burocratici stanno avendo serie ripercussioni, ad esempio, sulle catene di approvvigionamento automobilistico per le industrie dell’auto europee e britanniche che si basano su un sistema just in time; il 60% dei componenti assemblate in UK arriva infatti dall’UE. Insomma, al contrario di quanto auspicato dai sostenitori della Brexit, la separazione dall’UE non sembra proprio aver ridotto la burocrazia, anzi.

Il grande assente nell’accordo è però il settore dei servizi (cui sono dedicate solo una decina di pagine su 1246), che costituisce circa l’80% dell’economia britannica e oltre la metà delle esportazioni da UK in Europa, mentre l’industria dei servizi finanziari da sola contribuisce per circa il 7% del PIL inglese, generando oltre 2 milioni di posti di lavoro. L’effetto Brexit qui si è fatto subito sentire; il 4 gennaio, primo giorno di trading dell’anno, 6 miliardi di euro in azioni sono stati trasferiti dalla City – principale hub finanziario europeo – in Europa, presso le piattaforme che Aquis Exchange, Cboe Europe, Turquoise e Goldman Sachs hanno aperto in capitali come Amsterdam, Parigi, Francoforte o Lussemburgo. Tra l’altro proprio Amsterdam ha ufficialmente superato Londra nel mese di gennaio per volume di transazioni finanziarie. Il deal concluso a dicembre non contiene infatti quasi nulla che riguarda i servizi finanziari; le istituzioni finanziarie con sede in UK hanno perso l’accesso automatico al mercato unico (il cosiddetto passaporto). Già subito dopo il voto sulla Brexit nel 2016, Ernst & Young segnalava che banche e gestori di fondi avevano trasferito circa 1,2 trilioni di sterline di attività in UE dal Regno Unito, con più di 7500 posti di lavoro che hanno lasciato il Paese verso le capitali europee. Per marzo in ogni caso le due parti hanno intenzione di stipulare un memorandum d’intesa (MoU) a riguardo, anche se la concessione o il ritiro dell’equivalenza rimane pur sempre unilaterale e non vincolante.  

The key is that we’ve got our fish back. They’re British fish and they’re better and happier fish for it”– nonostante quanto affermato dal leader della Camera dei comuni, i pescatori e gli agricoltori inglesi non sembrano poi altrettanto contenti. Pesca e agricoltura sono infatti tra i settori più colpiti dalla transizione post Brexit; l’industria ittica scozzese ad esempio ha perso circa 1.4 milioni di euro al giorno a gennaio secondo l’Economist, mentre la Food and Drink Federation (FDF) ha detto che le esportazioni di cibo verso l’UE sono diminuite di un 50-60% a gennaio. La pesca nelle acque britanniche contribuisce a poco più dello 0.02% del PILinglese, ma ha comunque un forte valore simbolico soprattutto per le comunità costiere che vivono di pesca, infatti il tema era stato fortemente politicizzato durante la campagna per la Brexit- i brexiteers consideravano la presenza dei pescherecci europei nelle acque britanniche un affronto alla sovranità britannica. L’Accordo prevede che per i prossimi 5 anni e mezzo i pescherecci europei potranno continuare a pescare nelle acque britanniche (riducendo del -25% la quantità di pescato, Londra in realtà chiedeva un -80%) anche se la quantità di pescato dovrebbe essere ridotta progressivamente. Le esportazioni di pesce, crostacei e carne in Europa hanno comunque subito sostanziali ritardi proprio a causa del nuovo iter burocratico, che prevede nuovi documenti doganali richiesti come anche controlli di sicurezza sulla merce esportata, anche perché l’UE pone standard molto rigidi sui prodotti alimentari, mentre a volte capita che la merce venga direttamente respinta perché i documenti doganali non sono compilati correttamente. A metà gennaio, in segno di protesta più di una ventina di tir hanno bloccato il traffico davanti al Parlamento inglese per qualche ora – sugli automezzi c’erano slogan come: “Questo governo incompetente sta distruggendo il settore della pesca dei crostacei!”. I pescatori di Scozia e Cornovaglia hanno definito l’accordo UE-UK sul commercio come un “tradimento” da parte del primo ministro Boris Johnson, che dal canto suo ha minimizzato gli effetti negativi sul commercio sebbene annunciando che verrà stanziato un pacchetto di 23 milioni di sterline per ricompensare parte dei costi che i pescatori stanno affrontando in questa fase, mentre Michael Gove ha detto che UK è pronta a fare “whatever is required” per supportare i suoi pescatori.

A gennaio il volume di traffico merci tra i porti irlandesi e quelli europei (in particolare sulla rotta Francia-Irlanda) è raddoppiato rispetto a un anno fa; molti trasportatori hanno scelto di abbandonare la rotta britannica temendo ritardi e complicazioni alle frontiere, mentre il volume di traffico tra Irlanda e Regno Unito è sceso del 50% a gennaio. Uno dei fronti più caldi è sicuramente l’Irlanda del Nord (che fa parte del Regno Unito, mentre l’Irlanda è parte dell’UE) che è rimasta di fatto in una posizione ibrida, dentro all’unione doganale e dentro al mercato unico, proprio per evitare la nascita di tensioni che la reinstallazione di una barriera fisica al confine con l’Irlanda avrebbe potuto comportare. Le merci possono attraversare liberamente il confine irlandese ma al contrario sono necessari controlli sulle merci che viaggiano tra Irlanda del Nord e Regno Unito; i porti di Belfast e Larne restano infatti integrati nel mercato unico europeo, creando di fatto una frontiera doganale con il resto del Regno Unito. Nel mese di gennaio diversi prodotti alimentari provenienti da UK hanno smesso di arrivare in Irlanda del Nord, e diverse testate giornalistiche hanno riportato le foto dei supermercati nordirlandesi con gli scaffali vuoti; più preoccupante è ciò che si è verificato i primi giorni di febbraio, quando gli addetti al controllo delle merci nei porti di Belfast e Larne sono stati minacciati da protestanti locali legati ad ambienti unionisti e contrari all’esistenza di una barriera commerciale con il resto del Regno Unito, e l’UE ha dovuto chiedere ai suoi funzionari in Irlanda del Nord di sospendere i controlli. La tensione è aumentata ancora la scorsa settimana, quando la Commissione Europea ha annunciato di voler limitare l’export di vaccini fuori dall’UE; poco dopo però la Commissione è tornata sui suoi passi e ha deciso che tale misura non si estenderà all’Irlanda del Nord, che non avrà quindi bisogno di speciali autorizzazioni per ricevere i vaccini dall’UE.

Per quanto riguarda il libero movimento delle persone, la nuova legge sull’immigrazione renderà molto difficile trasferirsi nel paese per i lavoratori non qualificati, e ci si potrà trasferire solo se ha già ricevuto un’offerta di lavoro specializzato e si parla inglese, ma non, ad esempio, con l’idea di fare lavoretti saltuari. C’è stato un vero e proprio esodo di lavoratori rientrati nei rispettivi paesi di origine già negli precedenti l’entrata in vigore ufficiale dell’Accordo. Per quanto riguarda i servizi, anche che il riconoscimento automatico delle qualifiche professionali viene meno con la Brexit. L’immigrazione per motivi di lavoro, non solo extra-europea, era stata una sorta di ossessione da parte dei brexiteers, che vedevano nella libertà di movimento all’interno dell’UE causa di “dumping fiscale” da parte di presunti poco qualificati cittadini europei di Stati come Bulgaria, Polonia e Ungheria.

In nome di del “recupero della sovranità” e dell’indipendenza da Bruxelles, almeno per il momento il Regno Unito sembra essersi dato la zappa sui piedi sotto diversi aspetti, a scapito delle sue stesse esigenze e dei propri interessi economici e politici. Poi in futuro, che siano pure i fatti a parlare. Ad ogni modo non si è ancora messo non si è messo un punto finale alla lunghissima Brexit durata più di 4 anni e mezzo; L’Accordo, che deve ancora essere ratificato dal Parlamento europeo, lascia infatti una serie di questioni aperte che dovranno essere chiarite nei dettagli in contrattazioni future. Certo, sicuramente meglio l’attuale accordo, per quanto imperfetto, rispetto ad un temutissimo no-deal, ma è illusorio pensare che anche in assenza di tariffe le merci, i servizi e le persone potranno circolare anche solo lontanamente come prima -anzi per certi l’accordo non è poi troppo lontano da una hard brexit e ci assomiglia parecchio. Insomma, giocare a fare i sovranisti ha delle conseguenze pratiche nel mondo reale. L’uscita del Regno Unito dal programma Erasmus+ è uno dei tanti disastrosi “effetti collaterali” che l’irrazionalità, le retoriche anti-immigrazione e le bugie hanno nel mondo reale, i cui costi poi qualcuno pagherà, oltre la propaganda di basso livello. 

Altre fonti qui:

https://www.bbc.com/news/uk-45565124

https://www.dailymail.co.uk/wires/pa/article-9250909/Brexit-trade-arrangements-unmitigated-disaster–food-sector-bosses-tell-MPs.html

https://www.economist.com/britain/2021/02/06/a-messy-brexit-deal-threatens-to-reignite-violence-in-northern-ireland

https://www.reuters.com/article/us-britain-eu-exports/exports-from-uk-to-eu-down-68-since-brexit-trade-deal-say-hauliers-idUSKBN2A70G3

https://www.economist.com/britain/2021/01/23/delays-to-fish-and-meat-exports-are-not-just-teething-problems

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