Energia e Green Economy

Il cambiamento climatico con gli occhi della Keeling Curve

Dall’inizio della rivoluzione industriale, il crescente fabbisogno di energia ha determinato un consumo crescente di combustibili fossili per la produzione di prodotti finali. Queste emissioni di CO2 nel tempo si accumulano contribuendo al cambiamento climatico. Un ricercatore americano, realizzò un modello chiamato Keeling Curve, per misurare la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera. 

Aumento critico in atmosfera della Co2 e cambiamento climatico

Keeling, il ricercatore americano, mette a punto nel 1958, uno strumento abbastanza accurato per misurare basse concentrazioni di CO2 nell’aria, tradotte in parti per milione (ppm). Già dopo tre anni, si vede che la CO2 stava progressivamente aumentando, anche se ancora lentamente. All’epoca, la concentrazione di CO2 nell’aria era intorno alle 315 ppm. Poi è cresciuta in modo regolare, sino ad arrivare alle 415 ppm del 2019, con una frenata nel 2020 per via della pandemia).

Recenti studi, sottolineano che rimanere sopra il valore dei 400 ppm vuol dire stravolgere il clima come lo abbiamo sempre conosciuto, dalle prime comparse dell’uomo fino ad oggi. La soglia di sicurezza è considerata, infatti, quella di 350 ppm. La capacità di monitoraggio a lungo termine è fondamentale nel dimostrare, che l’uso di combustibili fossili in tutto il mondo sta cambiando la composizione dell’atmosfera.

Prima del XX secolo, i livelli di CO2 non avevano mai superato le 300 parti per milione negli ultimi 800.000 anni. La Keeling Curve ci aiuta a vedere che le concentrazioni globali medie nel maggio 2020 erano di circa il 33% superiori alle prime misurazioni atmosferiche. Le registrazioni iniziate negli anni ’50 mostrano quasi lo stesso tasso di aumento nel tempo, dimostrando che l’aumento è di portata globale (figura sotto).

Cicli stagionali

La concentrazione di CO2 nell’atmosfera terrestre mostra anche un chiaro andamento stagionale. Charles Keeling fù il primo a riconoscerlo. Il ciclo stagionale è in gran parte guidato dai flussi di anidride carbonica tra l’atmosfera e la vegetazione sulla terra, nell’emisfero settentrionale. La maggior parte della terra si trova nell’emisfero settentrionale, ed è qui che si trovano le maggiori distese di vegetazione.

Quando alberi e piante perdono le foglie o muoiono, durante l’autunno e l’inverno dell’emisfero settentrionale, la biomassa decade rilasciando CO2 nell’atmosfera. La fotosintesi è molto meno attiva durante i mesi invernali. Questo fenomeno lo vediamo chiaramente nella Keeling Curve, dato che la concentrazione di CO2 aumenta da ottobre alla primavera successiva.

Quando la vegetazione ricomincia a crescere, le piante assorbono CO2 dall’atmosfera tramite la fotosintesi. Quindi il carbonio viene trasferito dall’atmosfera alla biosfera terrestre. Il processo si traduce in una diminuzione della CO2 atmosferica (da maggio a ottobre).

Il lettore noterà come, ogni massimo e minimo è superiore a quello dell’anno precedente. Ciò crea una tendenza al rialzo costante, che è legata alla variabilità stagionale. Infatti anche altri processi, come gli incendi boschivi e lo scioglimento del permafrost, possono aggiungere Co2 all’atmosfera. Nelle figure sotto si mostra l’andamento ciclico, micro e macro, della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, attraverso la seria storica della Keeling curve.

Avremo un altro record di PPM CO2?

L’aumento della CO2 è purtroppo causato dall’attività umana e dalla combustione di combustibili fossili. Poiché i combustibili fossili hanno milioni di anni, il loro carbonio è chimicamente diverso da quello prodotto dagli attuali processi naturali come la decomposizione. Analizzando il carbonio atmosferico, gli scienziati possono misurare direttamente l’impronta dei combustibili fossili e comprendere il loro ruolo nell’aumento della CO2 e dunque nel cambiamento climatico.

Le prove sono molto più solide, se consideriamo gli ultimi 800.000 anni. Infatti il ghiaccio antartico, mostra che le concentrazioni di CO2 sono rimaste basse, oscillando intorno a 280 ppm per 10.000 anni prima della rivoluzione industriale. Sono otto i cicli glaciali negli ultimi 800.000 anni, per lo più guidati da oscillazioni nell’orbita terrestre. Questo è il punto di riferimento rispetto al quale gli scienziati di solito notano l’aumento attuale di CO2 rispetto al passato.

Attualmente, l’aumento di CO2 sta accelerando a un ritmo insolito. Alla fine degli anni ’50, il tasso di incremento annuo era di circa 0,7 ppm all’anno; dal 2005 al 2014 era di circa 2,1 ppm.

Siamo sulla buona strada, ma attenzione alle economie emergenti

L’organizzazione no-profit Global Carbon Project, stima che l’attuale andamento delle emissioni del pianeta sia sulla buona strada per rispettare gli impegni nazionali assunti nell’ambito dell’accordo di Parigi per contrastare il cambiamento climatico; per raggiungere l’obiettivo a lungo termine, che termina nel 2100, è necessario però stabilizzare le temperature al di di sotto di 2 gradi C°. In questo momento non è facile capire in quale direzione stiamo andando; lo scenario più ottimistico – con le emissioni che iniziano a diminuire in modo significativo nei prossimi anni – è probabilmente ancora fuori portata.

Dalla recente Cop26, tenutasi a Glasgow, non siamo arrivati a un accordo che impegna tutti i paesi sullo stesso problema. Abbiamo il bicchiere mezzo-pieno, perché da un lato, i paesi avanzati mantengono gli accordi di Parigi per ridurre in modo sostenibile le emissioni entro il 2030, dall’altro lato i paesi in via di sviluppo come Cina, Iran, Sud-Africa, Nigeria, uniti ai paesi con maggiore produzione ed esportazione di combustibili fossili, Arabia Saudita e Australia, non vogliono eliminare entro il 2050 le emissioni di Co2. Al netto della riduzione, probabilmente tra 10-15 avremo purtroppo la stessa concentrazione in ppm, con nuove ciclicità stagionali di Co2 nell’aria.

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