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Che cos’è la Russia di Putin

Nella narrazione dei sovranisti nostrani affascinati dall’idea di “stato forte e sovrano”, la Russia di Vladimir Putin è spesso dipinta come un luogo fantastico, lontano dal presunto decadimento morale occidentale e cui addirittura i nostri politici dovrebbero guardare con invidia e prendere ispirazione. La realtà è che la Russia è un paese infinitamente complesso, che, nonostante il generale miglioramento degli standard di vita della popolazione negli ultimi due decenni, si avvicina molto poco all’oasi di prosperità e sovranità che alcuni si immaginano. Questo articolo si propone di analizzare le caratteristiche generali dell’economia e della società russa, provando a rispondere alle seguenti domande: cos’è davvero la Russia di oggi, e come è diventata tale? Qual è il tenore di vita in Russia? Qual è lo stato delle libertà politiche ed economiche?

Iniziamo con un breve cenno sugli eventi che hanno accompagnato la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la nascita della Federazione Russa, necessario per capire le dinamiche politiche ed economiche attuali. La Russia post-sovietica ha dovuto affrontare una doppia transizione: il passaggio da un’economia socialista pianificata ad una di mercato e da un regime politico totalitario ad uno (pseudo)democratico. Sul piano economico, la turbolenta transizione dal socialismo di Stato non è stata per nulla indolore né priva di conseguenze. Contemporaneamente alla rimozione della maggioranza dei controlli amministrativi sui prezzi nel 1992, la Banca centrale russa attuò una politica monetaria espansiva con degli effetti estremamente negativi sull’economia russa; nel 1992 l’inflazione aumentò di oltre il 2000% e dell’800% nel 1993, tornando a livelli più contenuti negli anni seguenti. L’inflazione elevata in quegli anni ridusse sensibilmente il potere di acquisto dei cittadini russi, mentre il rublo perse la metà del suo valore rispetto al dollaro. Tra il 1988 e il 1995 Il PIL russo si è ridotto del 50%, mentre nel 1999 il tasso di povertà raggiunse un picco del 43,3%. Inoltre com’è noto durante il comunismo tutte le industrie, le miniere, i giacimenti di idrocarburi, le infrastrutture, il sistema bancario appartenevano allo Stato, e,  nel corso del processo di liberalizzazione di questi settori immensi dell’economia, alcuni individui – i cosiddetti oligarchi, magnati con forti legami con le strutture di potere sovietiche- che ebbero l’opportunità di accumulare in poco tempo enormi fortune personali, aumentando la loro influenza all’interno della politica russa.

Sotto la presidenza Yelsin dunque la transizione si accompagnò ad un aumento della disoccupazione, alta inflazione, vastissima corruzione e instabilità politica. La Russia di quegli anni fu scossa da eventi come la prima guerra cecena (1994-1996), la crisi finanziaria del 1998 e la seconda guerra cecena iniziata nel 1999. Fu in questo contesto caotico che entrò in scena Vladimir Putin. Egli arrivò al potere con una promessa ben precisa: riportare la stabilità nel paese come antidoto allo shock post-traumatico della fine dell’URSS. Eletto presidente nel 1999, guidò le operazioni durante la seconda guerra cecena con assoluta fermezza, presentandosi sin da subito come uomo d’ordine, capace di ripristinare l’unità nazionale e dare al paese una forma di credibilità sul piano internazionale. La popolazione russa, scossa dalla crisi economica e dall’offensiva del terrorismo ceceno, accettò di affidarsi senza troppe remore alla guida dell’uomo che sembrava in grado di prendere in mano la situazione e decidere con autorevolezza. Forse dando meno importanza alle riduzioni delle libertà che ne sarebbe seguito. Né il racconto dell’uso brutale della forza da parte delle forze armate russe durante il conflitto ceceno, né i fatti della strage di Beslan –durante cui persero la vita 302 persone, di cui 186 bambini – riuscirono a scalfire il consenso di Putin, che rivinse le elezioni presidenziali nel 2004 con il 71,9 per cento dei voti. Le voci critiche che provarono ad emergere, tra le più note quella di Anna Politkovskaya, che riportò gli orrori della guerra cecena, evidenziando gli aspetti autoritari e la corruzione emergenti nella Russia di Putin, vennero messe a tacere senza scrupoli. Secondo il Committee to Protect Journalist, dal 1992 al 2009 in Russia sono stati uccisi almeno 58 giornalisti. Oggi è difficile trovare una definizione per il sistema politico russo: si parla di democratura, di presidenzialismo autoritario, di democrazia controllata – cioè un sistema in cui si svolgono delle elezioni regolari, ma arrivare non tanto a vincere ma anche solo a candidarsi è molto difficile, rischiando di essere perseguiti giudiziariamente o di essere eliminati fisicamente -. In ogni caso, quello che è certo è che in Russia non c’è mai stata una vera democratizzazione. Secondo alcuni osservatori, Putin non ha mai davvero smantellato le strutture del potere sovietiche, ma le ha (piuttosto abilmente) sfruttate per mantenere la stabilità sociale e assicurarsi la permanenza al potere, ad esempio, attraverso la cooptazione degli oligarchi, semplicemente sostituendo coloro i quali non gli erano fedeli.

Sin dai suoi primi anni di governo il Presidente russo ha basato il suo consenso su un patto più o meno tacito con la popolazione: ordine, stabilità e crescita economica in cambio di consenso. L’andamento dell’economia russa sotto Putin può essere diviso in due macro periodi: il primo, dal 1999 al 2008, caratterizzato da un tasso di crescita medio pari al 7%, e il secondo, dal 2009 al 2020, segnato da una fase di stagnazione, con un tasso di crescita intorno all’1%. I primi due mandati della presidenza Putin sono generalmente considerati come un periodo di moderata crescita economica e ricostruzione dello Stato, durante cui sono state implementate delle riforme strutturali assolutamente necessarie. Questo è stato possibile anche e soprattutto grazie ad un contesto economico favorevole dovuto ad un sostenuto aumento dei prezzi del petrolio in quegli anni, da cui l’economia russa è largamente dipendente per le esportazioni. Circa la metà delle entrate dello Stato derivano infatti dalla vendita di idrocarburi (ovvero dagli utili delle compagnie petrolifere, di proprietà pubblica), che costituiscono il 70% delle esportazioni russe; questo significa anche che l’economia russa è fortemente soggetta dagli andamenti dei mercati internazionali: il grafico mostra la correlazione esistente fra il l’andamento del tasso di crescita del PIL russo e il tasso di crescita del prezzo del petrolio. Oggi la Russia sta ancora subendo le ripercussioni della crisi finanziaria iniziata nel 2014 a seguito del crollo del rublo, strettamente correlato al calo del prezzo del petrolio, ma anche alle scelte di politica estera del presidente Putin – principalmente l’intervento militare in Ucraina orientale, e le seguenti sanzioni internazionali dopo l’annessione della Crimea.

Ci sono pochi dubbi che oggi la popolazione russa possa goda di un benessere generale inedito rispetto al periodo dell’Unione sovietica o agli anni turbolenti della transizione. Il reddito pro capite a parità di potere d’acquisto è passato da 14.000 dollari nel 2000 a 24.000 nel 2008, e la classe media è più che raddoppiata, passando dal 21% della popolazione nel 2001 a quasi il 60% nel 2008. Tuttavia, gli standard di vita della maggior parte della popolazione russa rimangono oggettivamente bassi, se non in declino negli ultimi anni, soprattutto se paragonati agli altri paesi sviluppati. Secondo i dati della Banca Mondiale nel 2019 il PIL pro capite aggiustato per potere d’acquisto in Russia era pari a 29.181.363 di dollari , decisamente al di sotto della media OCSE (47.213.296 di dollari). Oltretutto negli ultimi anni si è registrato un peggioramento del tenore di vita; nel 2020 un individuo aveva un reddito dell’11% più basso rispetto al 2013. Va notato come il tenore di vita dei cittadini russi non è per nulla uniforme in tutto il territorio. Secondo i dati della Rosstat (l’Agenzia statistica russa) lo stipendio medio mensile nel 2020 è pari a 417 euro, ma a Mosca e San Pietroburgo raggiunge i 1000 euro.

La Russia ha inoltre un grave problema demografico che, nonostante gli sforzi del governo in tal senso, riesce molto difficilmente a contrastare. Secondo un rapporto dell’ONU, in assenza di un cambio di rotta significativo il paese vedrebbe una diminuzione della popolazione dagli 146 milioni attuali a meno di 135 milioni nel 2050.Un tasto particolarmente dolente è la bassa aspettativa di vita alla nascita, soprattutto se paragonato agli altri paesi avanzati: un russo oggi vive in media in media 72.5 anni (8 anni meno della media OCSE), con differenze significative di genere (per le donne circa 78 anni, per gli uomini meno di 68). Secondo diverse analisi la prematura mortalità maschile è il fattore principale che determina la bassa aspettativa di vita degli uomini in Russia (il 24% delle morti riguarda uomini in età lavorativa),mentre le donne con più di 55 anni sono il gruppo sociale predominante nella popolazione. Diversi studi concordano nel ritenere l’elevata incidenza di malattie cardiovascolari, l’elevato tasso di alcolismo e di suicidi (tra i più elevati al mondo) tra le cause principali del fenomeno.

Nel 2016 l’Economist ha intitolato ironicamente un articolo di un editoriale dedicato alla Russia come “mucca senza latte” per indicare il fatto oggi la classe politica russa, così come ai tempi dell’URSS, aspira ad ottenere una crescita economica pur senza creare le condizioni strutturali di base, come apertura dei mercati, concorrenza e libertà di impresa necessarie a garantirla davvero nel lungo periodo. La Russia non è riuscita a trasformare in modo radicale la sua economia, migliorando il contesto imprenditoriale, riducendo la dipendenza dal petrolio e il coinvolgimento diretto e indiretto dello Stato nell’economia, che anzi è aumentato significativamente negli anni (durante il suo secondo mandato Putin ha dato il via ad una serie di rinazionalizzazioni, principalmente nel settore petrolifero, bancario e dei media). In relazione all’elevata corruzione e all’intreccio ben visibile tra politica e affari, il modello di sviluppo russo è stato definito come “crony capitalism”, ovvero un sistema economico in cui il successo negli affari è fortemente dipendente da strette relazioni tra uomini d’affari e funzionari pubblici.

La Russia di oggi è un mix particolare di arretratezza e modernità, globalizzazione e autarchia, lusso e miseria. È interessante notare come la discrepanza tra il mito che alcune frange della popolazione occidentale hanno costruito sulla Russia – vista come ultimo baluardo protettore di non meglio precisati valori cristiani/tradizionali – e la Russia reale – uno stato autoritario, con un elenco sterminato di violazioni dei diritti umani +- sia per certi versi simile al divario tra le presunte meraviglie del comunismo realizzato, narrate dalla propaganda del tempo, e la realtà, molto meno meravigliosa, dei paesi che vi erano sottoposti.

Altre fonti a cura dell’autrice:

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