Attualità, Politica

Concessioni balneari: come siamo messi?

Una questione lasciata in sospeso nel DDL concorrenza è quella delle concessioni balneari. Quali sono i dati relativi a questo settore? Quali le criticità (e la disciplina giuridica)? Ne parliamo nell’articolo di oggi.

Le concessioni balneari in Italia: qualche numero

L’Italia è un paese con circa ottomila chilometri di coste, che costituiscono un importante elemento con cui il settore turistico e le imprese ad esso collegato prosperano. Infatti, stando ai dati forniti da TrueNumbers, il lavoro nel settore del turismo occupa circa 1 milione e 621 mila addetti (ripartiti come mostra la figura seguente, presa dal sito di TrueNumbers), pari a circa il 7% del totale.

A fronte di ciò, le concessioni balneari assumono una grande importanza: ci sono ben 6823 stabilimenti balneari in Italia (come riportano i dati di UnionCamere, elaborati da TrueNumbers).

Il settore è sviluppato in Romagna (1604 stabilimenti, circa il 23%), i cui comuni spiccano nella classifica della densità territoriale delle concessioni. Infatti, in ordine abbiamo Ravenna, Cervia, Rimini e Riccione; ove si trovano rispettivamente 194, 164, 155 e 120 imprese legate al settore balneare, come evidenziato dall’immagine qui sotto (fonte: TrueNumbers).

Nonostante ciò, le statistiche mostrano come un numero esiguo (ma in crescita rispetto agli anni precedenti) di stabilimenti sia titolare di più di 29mila concessioni. Un settore concentrato che necessita di leggi a tutela della concorrenza.

Il quadro giuridico

Dalla direttiva Bolkestein…

Un primo passo nella liberalizzazione dei mercati interni (e per estensione anche delle concessioni balneari) arriva dalla cosiddetta “direttiva Bolkestein“.

Tale direttiva mira, agendo su tre aspetti (libertà di stabilimento, libertà di circolazione di beni e servizi e fiducia reciproca tra Stati membri) a creare un mercato interno dinamico, grazie al quale servire al meglio i consumatori.

Tuttavia, il provvedimento non è stato mai applicato alle concessioni balneari. Le continue proroghe, succedutesi con i vari governi, hanno fatto sì che le direttive europee venissero sistematicamente ignorate a favore degli insider del settore.

Pertanto, tutto questo ha avuto, come prevedibile, delle conseguenze in termini economici.

Stando ai dati esposti da TrueNumbers nel 2005 (primo anno di disponibilità di dati)

“A livello di ricavi l’incremento è stato di circa 32 mila euro tra il 2005 e il 2010, e di 20 mila tra il 2010 e il 2015, anni caratterizzati da una crisi economica che giustifica tale rallentamento.

Dopo il 2015 le entrate hanno di nuovo accelerato, aumentando di più di 31 mila euro tra questa data e il 2018, e di ben 12 mila euro in solo un anno, tra il 2018 e il 2019″. 

E anche se ciò è avvenuto in un momento di crescita nel numero degli stabilimenti, non è difficile immaginare come le eccessive barriere all’entrata (come appunto il rinnovo di concessioni esistenti) abbiano giocato un ruolo rilevante.

Ciò è ancora più rilevante se consideriamo come, stando ai dati dell’AGCM, circa 21 mila concessioni su 30mila pagano meno di 2500 euro di canone; una cifra irrisoria, soprattutto se rapportata ad un volume d’affari che arriverebbe – secondo Nomisma – a circa 15 miliardi di euro.

… passando per i richiami dell’AGCM

Il Consiglio di Stato non è stato il solo ad occuparsi della materia. Già nel 2016, la Corte di Giustizia aveva bocciato la normativa italiana; ma, nonostante ciò la legge di Bilancio 2019 (legge 145/2018) aveva prorogato la scadenza delle concessioni dal 2020 al 2033, ora ridotta al 2023.

Accanto all’Antitrust c’è la sentenza 363/2021 del Tar Toscana, la sentenza 1/2021 della Corte Costituzionale e anche lo stesso Consiglio di Stato con la sentenza 7874/2019.

Il 2 Novembre, prima della sentenza del Consiglio di Stato, era arrivato un comunicato da parte dell’AGCM alla Regione Sardegna sulla proroga delle concessioni fino al 2033 decisa dalla regione.

L’Autorità ha dato 30 giorni di tempo all’amministrazione regionale per eliminare le distorsioni concorrenziali.

… alla sentenza del Consiglio di Stato

Le cose, tuttavia, stanno per cambiare.

Il Consiglio di stato, nell’adunanza plenaria del 20 ottobre ha preso una decisione quasi storica sulla proroga delle concessioni balneari, contenuta nelle sentenze n. 17 e 18. La motivazione, ben illustrata dalla sentenza stessa, adduce come giustificazione l’importanza della concorrenza nel

[…] garantire ai cittadini una gestione del patrimonio nazionale costiero e una correlata offerta di servizi pubblici più efficiente e di migliore qualità e sicurezza; potendo contribuire in misura significativa alla crescita economica e, soprattutto, alla ripresa degli investimenti di cui il Paese necessita.

La decisione è importante, perché stabilisce una proroga fino al 2023, per evitare una conclusione generalizzata delle concessioni; ma con alcuni accorgimenti: non ci potrà essere una nuova proroga, nemmeno con un intervento legislativo, lasciando così il mercato aperto alla logica concorrenziale.

Il Consiglio di Stato “bacchetta” quindi il governo; e non solo l’attuale, perché l’assenza di una disciplina coerente delle concessioni demaniale dura da molto tempo, nonostante le ripetute richieste di intervento.

Questa mancanza genera dubbi sulle regole e la tutela della concorrenza, soprattutto perché consente proroghe generalizzate ed automatiche, ed impedisce a nuovi soggetti di entrare nel settore.

Inoltre, questa normativa va contro quella posta dall’Unione Europea e che proprio su questo tema pende un conflitto con la Commissione Europea per violazione della direttiva Bolkestein.

Le reazioni del mondo politico

Dopo la decisione, non si sono fatte aspettare le reazioni del mondo politico.

Il leader della Lega Matteo Salvini afferma, ad esempio, che

Spiagge e mercati italiani non sono in svendita, si rassegnino i burocrati di Bruxelles e i loro complici: la Lega non ha mai permesso e non permetterà che il nostro lavoro e le nostre tradizioni vengano cancellati

Quello che si dimentica di dire è che, nel complesso, la grande frammentazione e la scarsa dinamicità del settore portano ad un basso livello di investimenti; il che si traduce in servizi peggiori per il cliente (come ricordato dal Consiglio di Stato).

Inoltre, è difficile capire quali tradizioni verrebbero cancellate, nel momento in cui venisse indetta una procedura di gara per arrivare ad una concessione demaniale rilasciata in conformità con l’ordinamento comunitario.

La produttività e la concorrenza non rinasceranno sicuramente dalle concessioni balneari; ma l’impegno che l’Italia profonde nella tutela della concorrenza si vede (anche) da questo. Chiudendoci in logiche campanilistiche e di cattura del consenso, difficilmente otterremo il (desiderato) risultato di far ripartire il Paese.

+ posts
+ posts