Senza categoria

Dietro l’omicidio Attanasio: chi comanda nel Nord Kivu?

Combattenti delle milizie NDC-Renové

É passato poco più di un anno da quel 22 febbraio, quando l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo vennero uccisi in un agguato nella Repubblica Democratica del Congo. I tre perirono mentre stavano raggiungendo l’area di Rushuturu per visitare un progetto del World Food Programme. Se la verità tarda a venire a galla (si guardi agli arresti successivamente smentiti dalle autorità congolesi o alle responsabilità gettate addosso a questo o quello, cercando di coprire i veri colpevoli), è utile cercare di fare una panoramica della regione in cui è accaduta la tragedia, quella del Nord Kivu, per chiarire i rapporti di forza e provare ad avanzare ipotesi sulla vicenda.

Rushuturu si trova nella regione del Nord Kivu, situata nel nord-est del paese. Le tre città principali sono Beni, Butembo e Goma (vicino alla quale è avvenuto l’attentato). La regione è famosa soprattutto per la catena dei vulcani Virunga, che danno il nome all’omonimo Parco Nazionale. Questi monti, una volta meta dei turisti occidentali per osservare i gorilla di montagna, sono da vent’anni teatro di guerriglia tra diversi gruppi armati.

Il Kivu Security Tracker (una ONG che monitora la regione) stima che nell’area siano presenti oltre 40 gruppi armati differenti, che arrivano a 120 se si contano anche le province adiacenti di Ituri, Sud Kivu e Tanganyika. I più importanti tra questi sono le Forze democratiche alleate (Adf), le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr), l’Alleanza dei patrioti per il Congo libero e sovrano (Apcls) e il Nduma Defense of Congo-rénové (Ndc-R, l’organizzazione che nel 2020 controllava l’area di Rushuturu). Tali organizzazioni sono responsabili di circa la metà delle uccisioni che avvengono in tutto il paese.

Minerali insanguinati

Una chiave di lettura per capire il perché di questa proliferazione di milizie paramilitari ce la fornisce la geologia di queste regioni. È risaputo che il Congo é così ricco di numerosi militari preziosi da essere definito uno “scandalo geologico”. In particolare, nel Nord Kivu sono presenti in grandi quantità idrocarburi come petrolio e gas naturale (quest’ultimo sul fondo del Lago Kivu, un fenomeno naturale quasi unico al mondo), stagno, tungsteno e soprattutto coltan. Il coltan é una lega di columbite-tantalite, il cui valore dipende dalla percentuale di tantalite. Quest’ultimo minerale viene utilizzato per ottimizzare il consumo di energia nei chip di nuova generazione, che lo rende una componente fondamentale di numerosi apparecchi elettronici. Il coltan congolese è particolarmente ricco di tantalite, il che ne fa una risorsa ambita a livello internazionale.

Ad occuparsi dell’estrazione e del commercio illegale di questi minerali sono proprio i gruppi armati della regione. In questo modo, ingenti somme di denaro arrivano nelle casse dei ribelli, che possono continuare la guerriglia con altre bande o verso lo stato congolese. Ad esempio, secondo l’ultimo Rapporto delle Nazioni Unite sulla RDC, “In maggio e giugno 2020 combattenti armati del NDC-R hanno tassato miniere di coltan e cassiterite a Kibanda, Rubonga e Maboa, che erano classificate come esenti da qualsivoglia controllo armato secondo gli elenchi del governo.” La pandemia non ha fermato il commercio di coltan non certificato. Anzi la chiusura delle frontiere stessa ha incentivato il traffico illegale del minerale tra paesi adiacenti.

Fragili equilibri nella regione

Un’altro gruppo molto importante nella regione sono le Forze Alleate Democratiche. Questo gruppo, formatosi negli anni 90 da un’alleanza tra i musulmani ugandesi del Tabliq e alcuni guerriglieri Bakonjo (una etnia bantu presente nella regione), è ogi uno dei principali non-state actors della regione. La componente musulmana del gruppo è particolarmente forte, tanti che alcuni hanno ipotizzato un avvicinamento all’ISIS. Questo fatto sarebbe corroborato dalla presenza di finanziamenti provenienti da un gruppo keniota già finanziatore dello stesso Stato Islamico. Il gruppo, che nel 2018 contava circa 450 combattenti, sembra non ambire a sostituirsi allo stato congolese, piuttosto pare limitarsi al controllo delle miniere e dei propri accampamenti.

La presenza di numerosi non-state actors suggerisce un inefficiente controllo statale nella regione. La Repubblica Democratica del Congo infatti, viene da anni definita “failed state”. Il termine indica uno stato le cui istituzioni mancano o sono inefficaci nell’esercitare le attività base, come raccogliere le tasse o mantenere il controllo del territorio. Il presidente Tshisekedi aveva inizialmente tentato di contrastare questi gruppi armati tramite il proprio esercito (le Forze Armate della Repubblica del Congo), decretando lo stato d’assedio nelle regioni lo scorso 6 maggio, ma ha riscontrato numerosi ostacoli interni alle proprie istituzioni e soprattutto esterni da parte di altre presenze ingombranti nella regione dei Grandi Laghi. Anche la MONUSCO (la missione della Nazione Unite in Congo), sulla scia di altre missioni internazionali susseguitesi nei decenni nella regione (come l’Operazione Turchese del 1994) è inefficace nel garantire la formazione di uno stato solido.

Verso un futuro segnato?

Alcuni players internazionali giocano un ruolo chiave nella vicenda. L’Uganda e soprattutto il Ruanda (di cui abbiamo gia parlato in una intervista alla giornalista Michela Wrong) si servono spesso di pretesti per sconfinare nel Nord Kivu e nelle regioni adiacenti. In particolare, il Ruanda, guidato dal presidente Paul Kagame, da anni sconfina illegalmente nel territorio col pretesto di inseguire ribelli ruandesi contrari all’FPR (il partito presidenziale). Dietro queste manovre si nasconde l’approvvigionamento illegale di minerali, tra cui lo stesso coltan. Il Ruanda ne è infatti uno dei principali esportatori mondiali pur senza averne quantità rilevanti all’interno dei confini.

Tuttavia lo stesso Tshisekedi sembra essersi rassegnato alla situazione attuale.  Infatti, Ruanda e Congo hanno sottoscritto tre accordi di cooperazione: in materia di investimenti, di fisco e un’intesa tra la società aurifera congolese Sakima e l’impresa rwandese Dither (che raffina l’oro). Un’operazione venduta come un meccanismo di controllo dell’intera catena aurifera così da impedire ai gruppi armati di finanziarsi con il commercio illegale di oro. Negli ultimi tempi é anche arrivato il via libera per far entrare nel Nord Kivu l’esercito ugandese, chiamato per combattere le stesse FAD. Tutto lascia quindi presagire che Uganda e Ruanda continueranno le loro attività per molto tempo.

Concludendo, la regione del Nord Kivu rimane una partita aperta a 3 fattori: il debolissimo governo congolese, i vari gruppi armati e le potenze straniere interessate. Come al solito, a fare le spese dell’instabilità sono i cittadini.

+ posts