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Distruzione creatrice ed energia verde: quale nesso?

Le crisi economiche, si sa, sono eventi spiacevoli originati dalle più disparate cause. Quale che sia la loro origine, però, vale il famoso detto popolare “non tutto il male vien per nuocere”. Le crisi, infatti, sono un’opportunità che il sistema economico ha di rinascere più forte, resistente e, come vedremo oggi, anche più “verde” grazie al ruolo fondamentale della distruzione creatrice. Vediamo come grazie ad un articolo del CEPR.

Gli autori, infatti, notano (giustamente) che a causa dei lockdown nelle prime fasi del COVID, la domanda di energia nel 2020 si è ridotta; tuttavia, notano anche che a non aver subito effetti negativi (se non di poco conto) è stata l’energia prodotta da fonti rinnovabili. Gli autori si domandano, quindi, il perché di tutto ciò partendo dal modello della distruzione creatrice di J.A. Schumpeter. Da un lato, infatti, gli investimenti in ricerca e sviluppo sono pro-ciclici (quindi le crisi dovrebbero tendere a ridurli); dall’altro, però, una ridotta domanda di energia costituisce un incentivo ai produttori per produrla in modo più efficiente, vendendola quindi ad un minor costo. L’idea alla base, quindi, è che grazie ai periodi di recessione sia possibile dismettere gli impianti più vecchi, incentivando lo sviluppo di impianti più nuovi ed energeticamente più efficienti.

La distruzione creatrice porta ad energie pulite? Ecco cosa ci dicono i dati

Gli autori dello studio, per rispondere a questa domanda, tentano di trovare una relazione tra il cambiamento nello share di energia “verde” sul totale prodotto e le recessioni principali che vanno dal 1965 al 2019, conducendo un’analisi a livello panel per 176 paesi. I risultati sono presentati in figura:

Figura 1: Cambiamenti nel mix energetico dopo una recessione (cambiamento percentuale dello share)

Notiamo, dalla figura precedente, che ogni recessione è associata ad una diminuzione significativa nell’uso di energia (come è accaduto ad esempio con la recessione più recente, quella dovuta al COVID); e quando la recessione si riassorbe, i livelli di energia consumata sono inferiori a quelli iniziali.

Inoltre, dopo una recessione l’energia prodotta diventa più “pulita”; questo perché la quota di energia generata dal carbone scende di circa l’1% in 5%, mentre quella generata da fonti rinnovabili aumenta del 2% annuo.

Il ruolo delle politiche ambientali

Un modo per “spingere” il sistema verso l’adozione di energie verdi (e quindi spingere anche la distruzione creatrice in tal senso) è adottare delle politiche ambientali. I cosiddetti “EPS” (Environmental Protection Schemes), infatti, sono un ottimo modo – secondo molti autori – per incentivare la transizione verso forme di energia più pulite.

Non tutti questi metodi, però, hanno gli stessi effetti. Per questo gli autori stimano i diversi effetti delle diverse politiche dividendole in “di mercato”(tasse su sostanze inquinanti, mercati delle emissioni e simili), “non di mercato” (incentivi pubblici alla ricerca e sviluppo, imposizione di standard) e “impatto generale”; suddividendole ulteriormente per l’impatto che hanno (alto o basso). I risultati sono questi presentati in figura:

Figura 2: gli impatti delle diverse politiche ambientali

Le barre nel grafico, come si può intuire, mostrano gli impatti delle politiche ambientali cinque anni dopo una recessione. Dal grafico si nota subito che gli incentivi di mercato (tasse pigouviane, ma non solo) sono quelli più efficaci nel promuovere una transizione verso energie più pulite; con i mercati delle esternalità e le imposte pigouviane che giocano un ruolo fondamentale.

Se questo è vero, allora possiamo dire anche che distruzione creatrice è un elemento fondamentale per rendere il mondo più “pulito”; e -forse – una transizione verde basata sui principi della concorrenza e della dinamicità dei mercati può non essere una cattiva idea.

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