Economia, Scienze economiche

EFFETTO CETA SULL’EXPORT ITALIANO

Per osservare i primi benefici derivanti da un cambiamento è necessario il trascorrere di un certo arco temporale, che varia in base all’entità e alla tipologia del cambiamento stesso. Se poi si tratta di accordi commerciali, si può ben intuire l’impossibilità di trarre conclusioni nel breve periodo.
A distanza di quattro anni dalla stipula del Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA) possiamo analizzare le prime conseguenze che l’accordo ha comportato nell’ambito dell’export italiano. Ma prima di tutto è bene chiarire cos’è il CETA. È letteralmente un accordo economico e commerciale, un’intesa internazionale di libero scambio tra Unione Europea e Canada. Il Consiglio europeo lo definì un accordo moderno e innovatore, capace di offrire uno slancio al commercio e all’attività economica, promuovendo e proteggendo nel contempo i valori degli stati membri. Venne approvato dal Parlamento europeo il 15 Febbraio 2017, entrando in applicazione provvisoria il 21 Settembre 2017. Provvisoria perché, trattandosi di un mixed agreement, si era in attesa della ratifica da parte degli allora ventotto stati membri dell’UE.
Sorge spontaneo chiedersi cosa effettivamente tale accordo comporta. Nonostante il concentrarsi di commenti, favorevoli e non, sulla questione dei prodotti agricoli, in realtà il CETA tocca più punti di quanto sia deducibile dal dibattito pubblico. L’aspetto primario è l’eliminazione del 98% delle barriere e dei dazi doganali tra i soggetti coinvolti, favorendo il libero scambio dei prodotti e, naturalmente, un abbassamento dei costi inerenti alla negoziazione di questi; permette il riconoscimento reciproco di titoli professionali, come architetto, commercialista e ingegnere; consente alle imprese europee di partecipare alle gare per gli appalti pubblici in Canada e viceversa; stabilisce nuove regole per proteggere il diritto d’autore e i brevetti industriali; permette una maggiore tutela del marchio nel riconoscimento del luogo di provenienza del prodotto. Questo ultimo punto è indirizzato alla risoluzione delle controversie relative all’italian sounding, ovvero la promozione di prodotti che potrebbero trarre in inganno il consumatore attraverso la denominazione, i riferimenti geografici, immagini o combinazioni cromatiche, alludendo ad una provenienza (l’Italia) che in realtà non coincide con il luogo in cui il bene è stato effettivamente prodotto.
Le posizioni sugli effetti benefici del CETA sono da sempre discordanti. I critici ritengono che l’accordo sia svantaggioso soprattutto perché gli standard qualitativi alimentari canadesi rimangono più bassi di quelli europei. Limitandoci alla sfera politica italiana Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Giorgia Meloni si mostrarono nel 2017 completamente contrari, definendolo un accordo pericoloso «a favore delle multinazionali e a danno delle piccole e medie imprese». Il problema è la totale mancanza di evidenze empiriche a sostegno di tali critiche. Il Capo 5 del CETA relativo alle misure sanitarie e fitosanitarieafferma chiaramente che nessun prodotto può essere introdotto nel mercato europeo se questo non rispetta determinati parametri di sicurezza sanitaria richiesti dalla normativa nazionale e comunitaria. Inoltre sono proprio le piccole e medie imprese i soggetti a poter trarre i più grandi vantaggi dall’accordo, ma su questo ritorneremo in seguito.
A quattro anni dalla conclusione dell’accordo possiamo analizzare i primi effetti del CETA sull’export italiano verso il Canada e viceversa.

Il grafico numero 1 indica il volume dei prodotti esportati dal Canada verso l’Italia.
Il grafico numero 2 indica il volume dei prodotti esportati dall’Italia verso il Canada.
In entrambi i grafici si può evincere un aumento consistente delle esportazioni a partire dal 2017. Nel 2019 «l’Italia ha beneficiato di un miglioramento della bilancia commerciale agricola, con un avanzo commerciale netto con il Canada di 485 milioni nel 2019». Sono le parole del commissario europeo per l’Agricoltura Janusz Wojciechowski riportate in un articolo de La Stampa. Lo stesso Wojciechowski ha sottolineato la conformità di alimenti e mangimi importati dal Canada ai requisiti di sicurezza sanitaria e l’assenza di segnalazioni di promotori di crescita ormonali nelle carni canadesi a partire dal 2013.
I settori che più hanno beneficiato dell’abbattimento delle barriere doganali sono quelli che presentavano elevate tariffe pre-CETA, come l’automotive ed il sistema moda.
In tale scenario di apertura al commercio internazionale numerose sono le opportunità per le PMI italiane e per i settori prima concentrati, solo o soprattutto, sul mercato domestico. E sono proprio le PMI a beneficiare più di tutti dei costi che si riducono a seguito dell’abbattimento delle barriere al commercio.
In conclusione, le critiche mosse dai contrari al CETA non hanno trovato riscontro nei dati fino ad ora. Escludere che lo sguardo si posi oltre i confini che sembrano così rassicuranti nega la valorizzazione, la crescita del potenziale di un soggetto, un’impresa o un settore intero. Vedute di così ampio raggio danno la possibilità di affermarsi in campi prima sconosciuti o limitati, di veder crescere i proprio risultati e di ricevere continui stimoli al miglioramento permesso dal confronto con soggetti concorrenti.

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