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Gas russo: come ridurre la dipendenza?

Una delle questioni messe in evidenza dalla guerra in Ucraina è la dipendenza dell’Europa dal gas russo. Una soluzione di lungo periodo richiede di agire sulla produzione di energia (da affidare a tecnologie come il nucleare e le rinnovabili) a livello europeo; ma la transizione a questo sistema potrebbe essere costosa e tutt’altro che indolore. Come fare? Vediamo una soluzione proposta dal Center for Economic Policy Research.

Dipendenza energetica: com’è messa l’Europa

La dipendenza energetica dell’Europa dal gas della Russia non è una cosa nuova; piuttosto si tratta di un processo che dura da molti anni e ci ha portato alla situazione di oggi. Stando a quanto riportato dall’Eurostat, ad oggi l’Europa dipende fortemente dalla Russia per quanto riguarda il gas; importandone circa il 41% del fabbisogno.

Figura 1: dependency rate per Paese europeo

Il dependency rate mostra la misura in cui un’economia fa affidamento sulle importazioni per soddisfare il proprio fabbisogno energetico. È misurato dalla quota delle importazioni nette (importazioni – esportazioni) sul consumo interno lordo di energia (ovvero la somma dell’energia prodotta e delle importazioni nette). Nell’UE nel 2019 il tasso di dipendenza era pari al 61 %, il che significa che più della metà del fabbisogno energetico dell’UE è stato soddisfatto dalle importazioni nette. Questo tasso varia da oltre il 90 % a Malta, Lussemburgo e Cipro al 5 % in Estonia. Il tasso di dipendenza dalle importazioni di energia è aumentato dal 2000, quando era solo del 56%.

Con riferimento al gas naturale, la situazione è simile. Prendendo i dati ufficiali di Gazprom, infatti, possiamo elaborare questo grafico che mostra – in miliardi metri cubi – le esportazioni di gas dalla Russia verso l’Europa occidentale.

Figura 2: Esportazioni di gas russo per destinatario

La situazione è abbastanza chiara: abbiamo un totale di esportazioni russe verso l’Europa occidentale per circa 135,75 miliardi di metri cubi. Di questi, 45,84 miliardi sono esportati verso la Germania, poco più di 20 verso l’Italia e a seguire Turchia e Austria, con rispettivamente 16,32 e 13,40 miliardi di metri cubi.

Dipendenza dal gas russo: perché è un problema

Il tasso di dipendenza energetica non ci dice, tuttavia, le fonti di approvvigionamento della stessa. Un’ulteriore infografica costruita su dati Eurostat, ci dice che la nostra dipendenza dalla Russia è notevole.

Figura 3: principali fornitori di gas naturale in Europa

Questa notevole dipendenza rappresenta un problema di tipo economico, di tipo politico e di tipo strategico.

Sebbene i singoli paesi presentino diversi pattern, l’analisi aggregata per l’Unione Europea mostra che nel 2019 quasi due terzi delle importazioni di greggio extra-UE provenivano da Russia (27%), Iraq (9%), Nigeria e Arabia Saudita (entrambi 8%) e Kazakistan e Norvegia (entrambi 7%). Un’analisi simile mostra che quasi tre quarti delle importazioni di gas naturale dell’UE provenivano da Russia (41 %), Norvegia (16 %), Algeria (8 %) e Qatar (5 %), mentre oltre tre quarti di combustibili solidi (per lo più carbone) provenivano dalla Russia (47 %), dagli Stati Uniti (18 %) e dall’Australia (14 %). A livello economico, la stabilità dell’approvvigionamento energetico dell’UE potrebbe essere minacciata se una percentuale elevata delle importazioni si concentrasse tra relativamente pochi partner esterni la cui affidabilità è, come nel caso della Russia, dubbia.

In più, importare gas dalla Russia vuol dire rifornire le riserve del Paese con valuta forte; cosa che potrebbe vanificare parzialmente gli effetti delle sanzioni.

A livello geopolitico, infine, una forte esposizione verso le importazioni russe ci pone in una condizione di “sudditanza”; con i russi che possono utilizzare la leva del restringimento dell’offerta di gas per ottenere degli obiettivi geopoliticamente rilevanti. Come fare? Vediamolo insieme.

Una modesta proposta

La proposta per rendere meno costosa la fine delle importazioni del gas russo, non troppo nuova in realtà, consiste nell’imposizione, da parte delle autorità europee, di un dazio. Il punto cardine della proposta è che il gas russo è fornito all’Europa da un fornitore, Gazprom, con un quasi monopolio sulle esportazioni di gas.

Allo stesso tempo, l’UE rappresenta circa il 70 % delle esportazioni complessive di gas dei gasdotti russi (circa 140 miliardi di metri cubi). È improbabile che altri clienti siano in grado di compensare completamente il mercato dell’UE. La Cina prende già notevoli quantità di gas dalla Russia e non vorrà diventare dipendente dalla Russia per la sua energia. In quanto principale acquirente, l’UE ha quindi un notevole “potere di monopsonio” finora inutilizzato.

L’analisi economica standard implica che Gazprom, in quanto monopolista, non addebiterà semplicemente il suo costo marginale ai consumatori europei; piuttosto limiterà le sue forniture al punto in cui il suo costo marginale è uguale al ricavo marginale dell’ultimo metro cubo venduto. Ciò conferisce a Gazprom una considerevole rendita monopolistica (che alla fine confluisce nelle casse del governo russo).

Se l’UE impone un dazio, Gazprom aumenterà il suo prezzo, ma solo di una frazione della tariffa perché altrimenti perderebbe troppe entrate. La tariffa intacca così la rendita monopolistica di Gazprom. Tutto questo è visibile nella figura seguente:

Figura 4: Il dazio su Gazprom

La soluzione, insomma, sarebbe imporre un dazio. Ma in quale misura? In un paper redatto dallo stesso studioso, si stima che l’aliquota ottimale di questo dazio si aggira intorno al 30; per far sì che il “monopsonio” dell’UE nei confronti dei russi sia sfruttato al massimo, così come la differenza tra le entrate tariffarie e le perdite dei consumatori europei.

Quali vantaggi?

La proposta avrebbe, ovviamente, dei costi; che ricadrebbero in primis sui consumatori europei.

Ci sono, però, delle cose che ci fanno pensare che questa sia la soluzione ottimale. In primo luogo il fatto che, come argomenta lo studioso, questo dazio sarebbe stato ottimale indipendentemente dalle sanzioni europee; ossia indipendentemente dal fatto che la Russia avesse deciso o meno di fare la guerra.

In secondo luogo, contrasterebbe, almeno in parte, l’argomento morale secondo cui, importando gas dalla Russia, stiamo finanziando la guerra di aggressione della Russia. Coloro che ancora acquistano il gas russo contribuirebbero anche a finanziare la nostra reazione a questa guerra e la tariffa fornirebbe loro un forte segnale di prezzo per diversificare nel tempo. Chi ha alternative lo farà immediatamente. La domanda di gas russo in Europa diminuirà, inizialmente lentamente, ma a un ritmo accelerato nel tempo.

Da terzo,  produrrebbe entrate sostanziali (che svolgono anche un ruolo chiave nell’analisi economica). Agli attuali elevati prezzi mondiali del gas naturale, una tariffa del 30% sul valore del gas russo potrebbe facilmente raggiungere i 30-50 miliardi di euro (su base annua) a livello dell’UE. Ciò consentirebbe all’UE di fornire assistenza ai gruppi vulnerabili colpiti dall’aumento dei prezzi del gas, ulteriore assistenza al governo ucraino e aiutare gli Stati membri a sostenere i costi della cura dei milioni di rifugiati che dobbiamo aspettarci.

Inoltre, questa politica sarebbe un incentivo per il settore privato a diversificare gli approvvigionamenti energetici; cosa che potrebbe accelerare la domanda di combustibili fossili e produrre una transizione più veloce verso energie come il nucleare. Se l’UE chiarirà che la tariffa rimarrà finché l’aggressione della Russia contro l’Ucraina continuerà, altri potenziali fornitori di gas in tutto il mondo se ne accorgeranno e inizieranno a investire per trovare nuove fonti o sfruttare meglio quelle esistenti.

Infine, ridurre le importazioni di gas russo vorrebbe dire mettere ancora più pressioni al ribasso sul rublo (riducendo le disponibilità russe di valuta estera forte e quindi riducendo la possibilità della banca centrale russa di intervenire sul mercato dei cambi per sostenere il rublo); ponendo fine, si spera, alle violenze portate avanti in Ucraina.

Tutto oro quel che luccica?

Si potrebbe ovviamente obiettare che la Russia potrebbe reagire al dazio europeo all’importazione aumentando il proprio prezzo all’esportazione. Questo potrebbe benissimo essere il caso. Ma il dazio all’esportazione della Russia ha poca importanza. Determina solo il livello dei prezzi interni del gas: più basso è questo livello, più gas verrà sprecato all’interno della Russia. Ad ogni modo, il livello dei prezzi interni del gas all’interno della Russia è fissato in rubli ed è quindi già sceso rispetto al livello dei prezzi del mercato mondiale. Il prezzo dell’esportazione russa è quindi già aumentata di fatto.

Quali sono, in ogni caso, le alternative al dazio sulle importazioni russe? La più realistica è l’imposizione di un tetto massimo sul prezzo del gas; tuttavia questa strategia non funzionerebbe per diversi motivi. In primis non risolverebbe il problema che, per il consumatore europeo, il gas russo dovrebbe essere più costoso di altri gas. Inoltre, anche supponendo che la Russia accetti di consegnare a un prezzo fissato dall’UE, a quale prezzo gli importatori rivenderebbero il gas ai consumatori?  

In secondo luogo, a quale livello dovrebbe essere fissato il prezzo? A costo marginale, cercando di appropriarsi dell’intero surplus del produttore? In questo caso, la Russia non avrebbe più un incentivo a fornire gas. 

Da terzo, se la Russia continua a fornire il gas (se il suo prezzo è stato fissato sufficientemente al di sopra del costo marginale), quale quantità dovrebbe importare l’UE?  Non esiste alcun criterio (al di fuori di quello di mercato) per determinare ciò; cosa che rende decisamente inapplicabile il tetto al prezzo.

“A time for choosing”

Utilizzare un dazio non è, ovviamente, una soluzione di lungo periodo. Servono investimenti in efficienza energetica; così come nella produzione e nella distribuzione di energia (temi che non possono e non devono escludere il nucleare e le altre fonti rinnovabili dal dibattito). Il dazio sul gas di Gazprom, però, può velocizzare e rendere meno costosa (politicamente ed economicamente) questa transizione.

In un suo famoso discorso, Ronald Reagan invitava gli Americani a compiere scelte coraggiose per salvaguardare il nostro benessere e, allo stesso tempo, la nostra libertà. Il gas russo, oltre che politicamente tossico, è diventato anche economicamente costoso. Forse è ora che gli Europei raccolgano l’invito di Reagan e si impegnino in strategie di lungo termine per rendersi energeticamente indipendenti, economicamente più forti e, in ultima analisi, politicamente più liberi.

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