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I bias decisionali: Daniel Kahneman e l’origine della behavioral finance

Quotidianamente ci troviamo ad affrontare problemi di scelta. Possono essere di tipo economico-finanziario oppure riguardanti la nostra salute o il nostro futuro. Spesso pensiamo di essere riusciti a prendere la migliore delle scelte possibili, massimizzando in maniera “oggettiva” il pacchetto informativo a nostra disposizione.  Ma come possiamo sapere se le nostre scelte siano corrette o siano basate su informazioni distorte? E cosa significa che un’informazione è distorta? E ancora, chi per primo ha studiato questi fenomeni?

A queste ed altre domande cerchiamo di rispondere con una serie di articoli all’intero del quale ci occuperemo dei principali bias decisionali, con l’obiettivo di mettere in luce alcune delle fallacie che affliggono il pensiero umano. In questo articolo ci dedicheremo all’origine della behavioral finance e all’introduzione del concetto di bias ed euristica.

La Behavioral finance può essere definita come l’intenzione d’introdurre la psicologia all’interno delle teorie economiche e dei mercati finanziari, per comprendere il comportamento degli agenti, cercando di formalizzare dei modelli in grado di prevedere le grandezze economiche in modo più attendibile.

Di behavioral finance e behavioral economics, si può già parlare durante il periodo della scuola classica: nel 1759, infatti, Adam Smith pubblicò The Theory of Moral Sentiments, un testo che descrive il meccanismo dei comportamenti psicologici individuali. Anche J.M. Keynes con la teoria degli animal spirits può essere inserito di diritto nel novero dei padri dell’economia comportamentale, o può quantomeno essere considerato uno dei precursori a cui va riconosciuto il merito di aver capito l’importanza delle componenti emozionali nelle decisioni economiche.

Fu l’economia neoclassica, successivamente, a prendere le distanze dalla psicologia con lo sviluppo del concetto di Homo oeconomicus. Il termine Homo oeconomicus fu coniato da John S. Mill nel 1836 e si riferisce ad un individuo astratto che percepisce e vive la realtà come un freddo ottimizzatore economico, che prende unicamente decisioni legate alla massimizzazione della ricchezza. Lo stesso Mill teorizza che l’economista non debba prendere in considerazione la realtà umana nella sua complessità, ma solo le ragioni economiche del suo agire, escludendo tutte le irrazionalità, le moralità, le convinzioni e i bias che pure rientrano nel processo decisionale.

La grande depressione del 1929, le periodiche bolle speculative, la crescente volatilità dei mercati finanziari e le recenti depressioni globali hanno però confermato la presenza di comportamenti irrazionali da parte degli agenti economici evidenziandone anche gli enormi effetti reali che essi hanno sull’economia. Basti pensare a quanto successo a Gennaio 2021 con le azioni di Gamestop.

È nel 1979, con il lavoro dello psicologo e premio Nobel Daniel Kahneman, che inizia uno studio approfondito di quello che lui definisce decision making under uncertantly and risk teso ad individuare quali siano gli errori sistematici (bias) che influenzano, incidono e possono arrivare a determinare le nostre scelte. Daniel Kahneman e Amos Tversky, due dei più importanti psicologi del XX secolo, sono considerati i padri fondatori della behavioral finance e della behavioral economics.

I due psicologi israeliani iniziarono ad effettuare molteplici analisi empiriche volte a comprendere lo sviluppo del processo cognitivo in contesti dominati dall’incertezza e dalla limitatezza delle risorse individuali, che li portò a conseguire il premio Nobel per l’economia nel 2002 “per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza”.

Kahneman all’intero del libro “Pensieri lenti e veloci” descrive i sistemi mentali suddividendoli in due categorie:

Ad esempio, quando con altre persone, raccontiamo di esperienze soggettive o parliamo di noi stessi, ci identifichiamo con il sistema 2, “il sé conscio e raziocinante che ha delle convinzioni ed opera delle scelte”; mentre quando notiamo che un oggetto si trova ad una distanza maggiore rispetto ad un altro, oppure quando svolgiamo operazioni matematiche semplici, adottiamo il sistema 1. La struttura cognitiva dell’essere umano, nella quotidianità, non si limita ad alternare i due sistemi, ma crea sinergie e interazioni alla ricerca di risposte “efficienti”. L’esponenziale numerosità delle combinazioni possibili tra i due sistemi, per altro soggettivamente condizionati dalle situazioni ambientali, ne mette in luce la complessità.

Gli studi di Kahneman e Tversky hanno portato ad identificare il concetto di euristica, ovvero “una semplice procedura che aiuta a trovare risposte adeguate, anche se spesso imperfette, a quesiti difficili. Il termine da cui trae origine ha la stessa radice di eureka ed è il verbo greco heuriskein, trovare”.[3] I bias sono una fattispecie d’euristica impiegati dal nostro cervello principalmente per esprimere giudizi, che in poco tempo possono divenire pregiudizi, su cose mai viste o di cui non si è mai avuto esperienza personale.

I bias rappresentano errori cognitivi in grado di pregiudicare non solo la nostra capacità decisionale, ma anche i processi mentali su cui i pensieri stessi si fondano.

Questi errori sistematici, spesso, derivano da ideologie, pregiudizi, percezioni errate o deformate della realtà e sono una delle principali cause che inficiano la lucidità di pensiero, non rappresentano quindi errori casuali, ma errori sistematici.

Nei prossimi articoli tratteremo ed individueremo, con il fine di eliminare e/o limitare, una alla volta i principali bias comportamentali che inficiano le decisioni economico-finanziarie e di come alcuni di questi hanno condotto alla modellizzazione della Prospect Theory da parte di Kahneman e Tversky.

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Fonti a cura dell’autore

1) Daniel Kahneman, Pensieri lenti e veloci, Oscar saggi Mondadori, 2019, p. 25

2) Daniel Kahneman, Pensieri lenti e veloci, Oscar saggi Mondadori, 2019, p. 132

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