I robot ci tolgono il lavoro, tassiamoli!
La crescita dell’automazione sta mettendo a rischio diverse professioni. Secondo una parte della comunità accademica potrebbe verificarsi la scomparsa di diversi posti di lavoro a causa dei robot. Cosa fare? Ne parliamo nell’articolo di oggi.
La paura della disoccupazione tecnologica
I robot potrebbero rubarci il lavoro? La domanda delle domande, visto che nemmeno tra gli accademici c’è un’opinione condivisa. Infatti, da un lato c’è chi come Larry Summers, sostiene che l’avanzata delle macchine e la conseguente automatizzazione dei posti di lavoro porterebbe maggiori diseguaglianze sociali ed economiche. Inoltre, secondo gli economisti del MIT (Massachussets Institute of Technology) Erik Brynjollfsson e Andrew MacAfee, ciò produrrebbe degli effetti anche per i lavoratori non direttamente penalizzati, traducendosi in un aumento della produzione, ma anche in una diminuzione dei salari (effetto decoupling). Tuttavia, dall’altro lato non tutti vedono l’innovazione tecnologica come uno scenario apocalittico per i lavoratori. L’economista austriaco Joseph Schumpeter, il quale nel libro “Capitalism, Socialism and Democracy” afferma come l’innovazione tecnologica sia essenziale nel sistema capitalistico, destinato altrimenti alla morte o alla stagnazione. In tal senso, alcuni posti di lavoro verrebbero sostituiti, ma ne verrebbero creati degli altri.
Uno sguardo ai dati
Ma quale delle due posizioni accademiche ha ragione? E quale ha torto? I dati ci dicono che entrambe le posizioni potrebbero essere corrette: infatti, la percentuale di posti automatizzati è cresciuta. Secondo quanto riportato dal World Economic Forum sul tema ” The Future of Jobs Report 2020″, entro il 2025 i ruoli professionali di routine diminuiranno dal 15,4% della forza lavoro al 9% (-6,4%) mentre le professioni emergenti subiranno un incremento dal 7,8% al 13,5% (+5,7%). Il World Ecomomic Forum stima che entro il 2025 circa 85 milioni potrebbero essere sostituiti, creando maggiori diseguaglianze. Tale tendenza, però, non viene confermata da altri studi, i quali sostengono come il processo tecnologico sin dalla Prima Rivoluzione Industriale (1770-1830) abbia creato più posti di lavoro di quelli che ha distrutto, favorendo la crescita economica nel medio/lungo periodo.
Robot Tax: una possibile soluzione?
Fra chi sostiene che i robot produrranno un effetto negativo sui lavoratori, c’è chi propone la robot tax. Nel 2017, Bill Gates è stato uno dei primi a parlarne, sostenendo che una tassa sui robot avrebbe potuto finanziare delle politiche economiche per fronteggiare l’aumento della diseguaglianza. La proposta di Bill Gates non è l’unica. Il premio Nobel dell’economia Robert Shiller afferma come una robot tax potrebbe rallentare il processo di sostituzione di alcune categorie di lavoratori. In tal senso, si potrebbero ottenere delle risorse per finanziare programmi di riqualificazione nel mondo del lavoro per le categorie licenziate. Secondo Shiller, la robot tax dovrebbe modesta e limitata ad un periodo di transizione, permettendo di fronteggiare le esternalità negative causate dai robot.
In conclusione, possiamo affermare come la questione sia molto più complessa di quanto sembri. Abbiamo visto come in passato le rivoluzioni industriali abbiano cancellato alcune professioni lavorative ma create di nuove. eliminando i timori di una rivoluzione luddista. L’imposizione di una robot tax potrebbe ricadere sui i consumatori finali che utilizzano il prodotto più che sulle aziende. Inoltre, ciò potrebbe rallentare lo sviluppo tecnologico, creando effetti negativi sull’industria 4.0, che secondo il docente di Strategia all’Università “Bocconi”, Carlo Alberto Carnevale Maffè sta dando i “suoi frutti”. In ultimo, la robot tax potrebbe portare le imprese a delocalizzare le loro attività produttive all’estero.