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Il confine fra Polonia e Bielorussia: il “lato oscuro” e la fragilità europea

Il “metodo Lukashenko”

Dopo l’ultima elezione di Lukashenko in Bielorussia, poco più di un anno fa, ci sono state numerose proteste.

La risposta del presidente è stata utilizzare le forze armate; questa, assieme ad altre azioni, lo ha reso noto all’opinione pubblica come uno dei presidenti più autoritari del continente.

Nelle scorse settimane, a Lukashenko sono bastate azioni molto meno drastiche per arrecare un danno abbastanza pesante all’intera Unione europea, ed in particolare ai suoi vicini polacchi.

Stando a fonti internazionali e locali, Lukashenko incentiverebbe l’arrivo nel suo paese di molti di cittadini mediorientali ed asiatici per poi indirizzarli verso i confini dei vicini stati membri dell’Unione Europea.

La vittima prescelta è la Polonia, che rappresenta un partner commerciale indiretto della Bielorussia, luogo preferito per lo shopping dalle élite delle regioni occidentali dell’ex repubblica sovietica ed ora strumento di pressione prediletto sulle istituzioni comunitarie ed i governi nazionali occidentali.

In realtà, non serviva uno stratega per capire quanto sia facile mettere in difficoltà l’Unione puntando sulla leva migratoria; tuttavia possiamo affermare con altrettanta serenità che a facilitare il lavoro di Lukashenko siamo stati proprio noi europei.

Sono state sufficienti poche migliaia di migranti, contro 17 mila guardie di frontiera polacche, per gettare le autorità polacche nel caos e scatenare le reazioni accusatorie (e preoccupate) dei leader europei.

La situazione in Polonia

Il 29 ottobre scorso il Parlamento di Varsavia ha approvato la costruzione di un muro al confine con la Bielorussia, la richiesta di finanziamento del muro con i fondi europei è stata però rifiutata da Bruxelles.

A novembre, tuttavia, una nuova “cortina di ferro” attraversa l’Europa orientale: in questo caso manca la “striscia della morte“, ma ciò non toglie che, per molti migranti, questa recinzione rappresenti comunque un incubo.

Inoltre, le autorità polacche hanno istituito una zona cuscinetto a ridosso del confine; un’area militarizzata interdetta sia alla stampa che alle ONG che vorrebbero accedervi per fini umanitari.

Tali misure alimentano nell’opinione pubblica la convinzione che il governo polacco stia agendo a metà fra l’attacco di panico e la propaganda “muscolare”.

La risposta di Bruxelles

L’Europa si rifiuta di finanziare nuovi muri, ma nonostante questo le autorità europee appoggiano le accuse del governo polacco nei confronti del governo di Minsk; per questo l’Unione ha invitato i paesi membri ad aumentare le sanzioni contro la Bielorussia, quasi ignorando l’appello delle organizzazioni umanitarie.

Se l’Unione considera la Bielorussia un paese non sicuro per i suoi stessi cittadini, allora perché non opporsi o far presente che la Polonia sta compiendo dei respingimenti contrari al diritto internazionale?

Di fatto, respingere individui verso un paese non sicuro, viola il “principio di non respingimento” sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sui diritti dei rifugiati.

Le fragilità europee

Non è casuale se Lukashenko abbia scelto proprio la pressione migratoria per attuare, a suo modo, una vera e propria rappresaglia nei confronti delle sanzioni comunitarie.

Questo perché le criticità europee sono note: tutti conoscono il nostro lato oscuro, quello che fa paura in primo luogo a noi stessi, e che per questo ci rende fragili.

L’indifferenza degli europei di fronte alle violazioni dello stato di diritto ed alla cattiva gestione delle frontiere esterne rende sempre meno credibili.

Questo fatto vanifica molta influenza geopolitica che il nostro continente potrebbe utilizzare per imporre i propri valori ed interessi.  

Pochi rifugiati politici (persone e famiglie) vengono utilizzati per attaccare l’Unione nel suo punto debole. Questa strategia è riuscita a metterci in crisi, a farci scegliere di mostrare la nostra grande fragilità.

Alcuni dubbi

Il ruolo di Frontex

Gli euroscettici si chiedono dove sia Frontex, l’Agenzia per la gestione delle frontiere esterne dell’Unione Europea, con sede proprio a Varsavia. Forse stanno incolpando le stesse istituzioni comunitarie per l’inerzia della propria Agenzia.

Tuttavia difficilmente l’Unione può controllare questo ente intergovernativo. Esso dipende quasi esclusivamente dalle volontà degli Stati membri; i cui rappresentanti compongono il suo CdA. Si potrebbe affermare, quindi, che la scarsa utilità di Frontex dipende dalla già detta fragilità.

La longa manus della Russia?

Si potrebbe pensare che questo “piano di invasione migratoria” dei bielorussi non sia altro che una “longa manus” di Vladimir Putin sull’Unione.

Chi conosce la politica bielorussa sa che, nonostante la possibile esistenza di un aiuto russo, queste operazioni sono la linfa vitale del consenso costruito attorno a Lukashenko (che deve mettere in evidenza la propria autonomia rispetto a Mosca), dinnanzi ai suoi cittadini e alleati.

Quali implicazioni?

In sintesi, è semplice mettere in difficoltà l’Unione Europea come garante di democrazia; mostrando quanto non affrontare ordinatamente un problema sia dannoso per il nostro potenziale e quanto sia impensabile il non averlo risolto pur soffrendone da tempo.

La questione, prima che politica, è giuridica: non conta come la politica valuti il problema ma come le istituzioni intendano risolverlo facendo terminare un’emergenza che dura da decenni.

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