Site icon EconomiaItalia

Il flop di Deliveroo: i problemi della IPO fallimento

Deliveroo, società britannica di food delivery, si è quotata nella Borsa di Londra mercoledì 31 marzo 2021, ma a pochi minuti dall’apertura delle contrattazioni il titolo ha subìto un calo del 31%, chiudendo la giornata a -26% e causando una perdita di 2,2 miliardi (in euro) di capitalizzazione. Per il governo britannico avrebbe dovuto essere un gran successo, ma cosa ha spinto gli investitori a mal vedere il titolo, negando così una possibile ventata di positività alla London Stock Exchange?

Il mercato del food delivery ha registrato una forte espansione nel 2020. I motivi, facilmente intuibili, risiedono nelle chiusure dei ristoranti che hanno ancorato i profitti alle consegne da asporto. Nel 2020 il mercato ha raggiunto un valore di 900 milioni di euro, il doppio del 2019 e quattro volte quello del 2018 e si prevede un ulteriore aumento nel 2021, anno in cui potrebbe avvicinarsi al milione e mezzo.
Tuttavia, gli investitori sembra non abbiano ritenuto sufficiente questo dato, considerando debole il modello di business di Deliveroo. Infatti, neanche l’aumento delle consegne ha fatto registrare un utile per la società, ma semplicemente una perdita meno drastica rispetto agli esercizi precedenti. Nel 2020 ha registrato una perdita di 263 milioni di euro ed un EBITDA negativo, dati che non rispecchiano di certo l’espansione del mercato in cui la società preme, e neppure la maggiore quota di mercato che la società ha conquistato nei suoi otto anni di vita finora. La società ha sottolineato di aver registrato un aumento della quota di mercato anche in seguito ad un allentamento delle misure di prevenzione da COVID-19, quando i clienti hanno continuato a dimostrare una certa preferenza per il food delivery ed una forte frequenza negli ordini. Che sia indirizzata ad investimenti una buona parte dei ricavi? Il gruppo lascia intendere questo ma, nell’analisi del titolo, gli investitori hanno reso conto dei numeri effettivi, abbandonando l’analisi forward looking che la società sembra voler suggerire.

Secondo gli analisti le novità legislative nel mondo del food delivery hanno avuto un certo peso nella valutazione del titolo. La debolezza del modello di business della società risiede anche nei cambiamenti dei contratti di lavoro dei riders, la cui posizione contrattuale è sempre stata di ambiguo riconoscimento. Questi ultimi sono stati riconosciuti fin ora come lavoratori parasubordinati o, più precisamente, come collaboratori coordinati e con frequenza continuativa. I cosiddetti Co.Co.Co. lavorano infatti in piena autonomia operativa, non sono sottoposti ad alcun vincolo di subordinazione, ma hanno un rapporto unitario e continuativo con chi commissiona loro il lavoro. Sono dunque formalmente inseriti nell’organizzazione aziendale.
Nelle ultime settimane diversi paesi hanno approvato leggi che tutelano i riders e riconoscono questi come lavoratori dipendenti. In Italia nel mese di febbraio la procura di Milano ha chiesto la regolarizzazione contributiva e dei contratti di 60.000 lavoratori per: Uber Eats, Glovo-Foodinho, Just Eat e Deliveroo. A seguito di una sanzione di 733 milioni di euro le aziende avevano novanta giorni di tempo per adempiere alle prescrizioni, incluse visite mediche e dotazioni di mezzi adeguati, caschi e protezioni. Pochi giorni fa Just Eat ha firmato un accordo d’intesa con i sindacati in base al quale i fattorini saranno assunti come lavoratori dipendenti e in cui si impegna ad assumere 4.000 persone entro l’anno.
Il governo spagnolo, prima che in Italia, ha raggiunto un accordo con alcune organizzazioni imprenditoriali sulla corretta classificazione del lavoro dei repartidores riconoscendoli, anche qui, come lavoratori dipendenti senza creare una specifica fattispecie giuridica.
Perché queste richieste da parte dei tribunali? Innanzitutto, i riders non sono mai stati riconosciuti come autonomi nei fatti. Sono attualmente subordinati ad un algoritmo ed il meccanismo del ranking penalizza chi prende dei giorni liberi, si ammala o sceglie orari poco interessanti per le aziende. Inoltre tutto il rischio d’impresa, incluso l’obbligo di risarcire i clienti per mancata consegna dei pasti, è in capo ai lavoratori.
In questa sede non si discuterà se il punto di incontro tra maggiori tutele e minor flessibilità nel lavoro viene appoggiato dai soggetti coinvolti, ma è oggettivo affermare che per un’azienda supportare contratti per lavoratori dipendenti comporta ulteriori costi e, considerando i conti in rosso di Deliveroo, secondo gli investitori è un ulteriore punto debole per la società.

Non mancano ragioni tecniche che hanno spinto la quotazione al fallimento, ossia la presenza di azioni “dual-class”, meglio note come azioni a voto plurimo. Will Shu, CEO e cofondatore di Deliveroo, pur possedendo una frazione delle azioni riuscirà a ricoprire una posizione dominante sulla compagnia. Questa tipologia di titolo partecipativo consente, a parità di valore nominale, un maggior numero di voti in assemblea. È una tipologia largamente diffusa negli Stati Uniti d’America, molto meno in Europa. Per tale motivo, in base alle regole della Borsa di Londra il titolo non potrà essere presente nel FTSE 100, l’indice azionario delle cento società quotate più capitalizzate della LSE.

Rishi Sunak, Ministro delle Finanze per il governo Johnson, vedeva nell’operazione il coronamento di una storia di successo imprenditoriale tutta britannica. A seguito della vicenda il governo teme che il suo mercato finanziario possa perdere d’importanza. Ma occorre ricordare che non sempre le IPO di società importanti su cui si riponevano grandi speranze sono state brillanti. Basti ricordare che il debutto di Facebook al NASDAQ fu un grande fallimento per diverse cause, tra cui problemi tecnici che comportarono perdite per molti investitori e che allontanarono i potenziali contribuendo alla sottovalutazione del titolo per oltre un anno.
Se per Deliveroo si tratti della tempesta prima della quiete non possiamo saperlo, ma le prestazioni iniziali del titolo non accertano il futuro. Il dado non è tratto.

Puoi continuare a seguirci su https://t.me/economiaitalia per altri articoli

Exit mobile version