Attualità, Politica

Il Green Pass può essere un problema?

Dal 6 agosto in Italia è stato introdotto l’obbligo di Green Pass per accedere a diverse attività. Da settembre il certificato verde sarà necessario anche per l’utilizzo dei mezzi pubblici su lunga percorrenza e tanto altro. Insomma, il governo italiano ha deciso di adottare diverse restrizioni valide solo per chi non possiede i requisiti richiesti, ma siamo sicuri che il Green Pass sia utile?

Una premessa è doverosa a scanso di equivoci. I vaccini funzionano, così come dimostrano i report settimanali inglesi e tanti studi con dati dal mondo reale sull’efficacia dei vaccini contro la variante Delta ora dominante. Su questo punto non si discute, i dati a nostra disposizione non lasciano ombra di dubbio. Detto ciò, la domanda specifica che dobbiamo porci è se la misura del Green Pass, in particolare quella italiana, funzioni o meno.

Il Green Pass può avere due obiettivi sanitari: incentivare la vaccinazione e ridurre i contagi.

Il Green Pass funziona come incentivo alla vaccinazione?

Per quanto riguarda il primo la risposta può essere sintetizzata nel grafico qui sotto:

Fonte: Pagella Politica, autore Lorenzo Ruffino

Come potete osservare non c’è una variazione nelle vaccinazioni dopo l’annuncio o l’introduzione del Green Pass. Anche se ciò riguarda solo la popolazione over60, troverete la stessa situazione nelle altre fasce d’età: nel periodo successivo all’introduzione del certificato verde non si nota alcun cambiamento nel trend delle vaccinazioni. In realtà ciò potrebbe non dipendere dal fallimento della misura adottata, quanto dalla scarsità di dosi a disposizione nel periodo considerato nonché la concomitante delle ferie estive. Dalla quarta settimana di agosto in poi le dosi hanno ripreso le normali forniture a cui siamo abituati, anche in misura maggiore rispetto al passato. Se ci dovesse essere un “effetto Green Pass” sulle vaccinazioni dovremo poterlo osservare da inizio settembre in poi. Se avessimo a disposizione i dati sulle prenotazioni e non solo sulle somministrazioni avremmo già la risposta alla nostra domanda, ma così non è.

Il Green Pass riduce i contagi?

Purtroppo, non essendoci al momento la possibilità materiale di stimarne gli effetti, dobbiamo limitarci ad usare la logica facendo ipotesi e lavorando con i dati che abbiamo a disposizione sui vaccini e la loro efficacia.

Il Green Pass italiano viene concesso a chi possiede almeno uno dei seguenti requisiti: aver ricevuto almeno una dose di vaccino, avvenuta guarigione dalla COVID-19 non oltre i sei mesi precedenti, tampone negativo nelle ultime 48 ore. Per quanto riguarda il tampone negativo non saprei dire in che misura questa condizione riduca la probabilità di essere positivi e contagiosi. Essere negativi al test accerta la propria negatività in quel dato momento, non nelle 48 ore successive, ma possiamo dare per assunto che la probabilità di essere negativi sia maggiore rispetto a chi non possiede un test di negatività nelle 48 ore precedenti.

Per quanto riguarda l’avvenuta guarigione entro i 6 mesi precedenti, possiamo considerare che tale protezione dall’infezione sia simile alla somministrazione di una singola dose di vaccino. Quindi in seguito, riferendoci alla singola dose, faremo riferimento anche alla guarigione (in merito non c’è uniformità di opinioni tra gli esperti, ma evitiamo di complicare il ragionamento di fondo).

Quale protezione dall’infezione attribuisce una singola dose di vaccino? La grande maggioranza dei report con dati dal mondo reale stima l’efficacia del vaccino nel ridurre la probabilità di sviluppare sintomi lievi, gravi, di finire in ospedale e di morire. Ogni report presenta stime diverse, ma prendiamo ad esempio una tabella che riassume i risultati della campagna vaccinale in UK:

Fonte: Twitter di Muge Cevik, virologa

Come potete notare non ci sono stime sull’efficacia nel ridurre la probabilità di infettarsi. Questo per due motivi: non abbiamo ancora abbastanza dati in merito e i vaccinati hanno presumibilmente una diversa propensione a farsi testare in quanto vaccinati. E’ vero che l’ISS pubblica periodicamente stime sull’efficacia nel ridurre la probabilità di infezione, ma si tratta di numeri che vanno presi con la dovuta cautela.

In ogni caso ci sono diversi lavori, sintetizzati in questo articolo (tra cui alcuni già citati), che stimano anche l’efficacia contro l’infezione. Il punto centrale è che un soggetto che ha ricevuto una sole dose, pur essendo meno esposto al rischio di infettarsi rispetto a chi non ha ricevuto nemmeno una dose, lo è in dimensione assai ridotta. La protezione da infezione aumenta molto con la somministrazione della seconda dose di vaccino.

In breve, due dosi di vaccino conferiscono una protezione altissima per quanto riguarda le forme gravi della malattia e alta per quanto concerne l’infezione, mentre una sola dose conferisce una protezione alta verso la malattia grave e meno grave, ma non altrettanto importante verso la sola infezione. Va comunque precisato che, come spiega qui Aureliano e come ci ricordano altri esperti divulgatori in materia, anche se infetto un vaccinato è meno contagioso di un non vaccinato infetto. Ciò significa che anche una sola dose ci rende meno contagiosi.

Detto ciò il problema del Green Pass ha soprattutto a che fare con i comportamenti umani. Come già menzionato, possiamo ipotizzare che un parzialmente o totalmente vaccinato abbia una minore propensione a farsi testare rispetto a un non-vaccinato. Questo avviene perché si percepisce la COVID19 come una malattia molto meno pericolosa di quanto non lo fosse in precedenza (e, visti i dati sull’efficacia dei vaccini, a ragion veduta). Ciò modifica anche altri comportamenti, come quelli alla base del contagio stesso: le relazioni interpersonali. Un soggetto non protetto dal vaccino tenderà, razionalmente, a limitare i propri contatti a poche persone (tipicamente familiari e amici stretti). E’ ragionevole ritenere che, almeno in grande maggioranza, i vaccinati ritengano meno rischiosa la malattia e abbiano una rete di relazioni più estesa.

Ecco che, nei luoghi dove è richiesto il Green Pass, chi lo possiede sa di incontrare solo individui con una minore probabilità di avere il virus e poterlo trasmettere. Pertanto, si tenderà a rispettare in modo molto meno rigoroso le norme sanitarie di distanziamento. Per fortuna anche una sola dose di vaccino riduce la probabilità di essere contagiati e contagiosi, ma come già menzionato ciò avviene in modo limitato. Quindi il Green Pass italiano, richiedendo una sola dose di vaccino, potrebbe avere l’effetto opposto di quanto desiderato, rendendo gli individui parzialmente vaccinati più esposti al rischio di contagio e mitigando così gli effetti del vaccino sull’infezione (ferma restando, ovviamente, l’elevata efficacia nel ridurre l’ospedalizzazione e la morte).

Un altro aspetto che dovrà essere discusso nei prossimi mesi è la durata del Green Pass per i vaccinati. I dati più recenti da Israele sembrano mettere in luce il problema della riduzione dell’efficacia dei vaccini nel prevenire l’infezione dopo un certo periodo dalla somministrazione, rendendo così necessaria una terza dose. Si tratta di dati preliminari che, al momento, non permettono considerazioni ben ponderate. In ogni caso i dati in questione non mostrano una riduzione significativa nell’efficacia nel prevenire le forme gravi della malattia.

Uno strumento utile nelle mani sbagliate

In conclusione, da vaccinato e detentore di Green Pass, sono tra i primi a ritenermi più al sicuro nei luoghi dove ne è richiesto il possesso, ma qui mi sono limitato ad osservare i possibili effetti di una policy. Il Green Pass potrebbe essere uno strumento molto utile per ritornare alla normalità, incentivando le vaccinazioni e riducendo il rischio di contagio nei luoghi aperti al pubblico, ma per raggiungere questo scopo è necessario un disegno normativo più efficace.

Una possibile modifica può consistere nella richiesta di due dosi di vaccino per ottenere la certificazione, pur sempre garantendo un’alternativa a chi non le ha potute ricevere per lentezze burocratiche. Infine, non è detto che la soluzione alla pandemia arrivi proprio con questo strumento. In passato è stato fatto largo utilizzo dell’obbligo vaccinale, soprattutto per certe categorie di lavoratori a contatto con il pubblico. Potrebbe essere maturo il momento per pensare a delle policy alternative al certificato verde o, almeno, dibattere nel merito in modo razionale.

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