Il reddito di cittadinanza: un vero flop?
Un argomento ricorrente al centro dei vari dibattiti è il reddito di cittadinanza. Infatti, si discute se questo strumento sia stato efficace o meno dalla sua introduzione. Ne parliamo in questo articolo.
Che cos’è il reddito di cittadinanza
Prima di esaminare i numeri del reddito di cittadinanza, occorre fare un breve excursus su cosa sia questo strumento. Come riporta il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, il reddito di cittadinanza è uno strumento di politica del lavoro. Il suo obiettivo è quello di contrastare la disuguaglianza, la povertà e l’esclusione sociale. Il reddito di cittadinanza viene integrato ai redditi familiari del beneficiario. Come stabilito dal DL 4/2019 poi convertito nella Legge 26/2019, i cittadini che lo richiedono, devono seguire obbligatoriamente un percorso di formazione volto all’inserimento lavorativo. In sostanza, questo strumento di politica del lavoro permetterebbe di combattere la povertà e di reinserire il lavoratore nel mercato del lavoro.
I dati sul reddito di cittadinanza
Nonostante le ambizioni coraggiose, il reddito di cittadinanza è stato al centro di numerose polemiche riguardanti falsi beneficiari, persone che appunto non ne avevano il diritto. Inoltre, non sempre vi era un reinserimento del beneficiario in un percorso lavorativo. Ciò si tramutava in mero sussidio, utile nel breve periodo ma non da un punto di vista lavorativo. L’Anpal (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro) ci fornisce attraverso la nota n.8 del 27 aprile 2022 i risultati sull’analisi del reddito di cittadinanza al 31 dicembre 2021. Il 56,5% dei beneficiari non ha avuto un contratto di lavoro tra il 2019 e il 2021 e solamente il 20% ha un lavoro attivo. Il 94% dei percettori del reddito è formato da profili con basse competenze e con rapporti a termine. Il 39,9% è formato da persone straniere extracomunitarie.

Uno sguardo alla distribuzione geografica
Se osserviamo la distribuzione geografica dei beneficiari del reddito di cittadinanza, l’Anpal riporta che la maggior parte dei beneficiari, il 74,4% circa, si concentra nel Mezzogiorno, in particolar modo nelle regioni Campania e Sicilia che da sole occupano il 51,2%.



Il resto dei beneficiari si distribuisce nelle regioni del Nord Ovest e del Centro Italia. I valori sono più bassi nella parte Nord Est, dato che si concentra la percentuale più alta di percettori esclusi dalla sottoscrizione del patto di lavoro. Se osserviamo invece le differenze di genere e generazionali, si evince che le donne rappresentano il 56,1% dei percettori, ma il 64% di esse resta fuori dal mondo del lavoro. Da un punto di vista di età, i dati mostrano come il 35,1% dei beneficiari abbia meno di 30 anni. Il 39,8% ha tra i 40 e 59 anni. La fascia centrale di età, 30-39 anni, rappresenta la quota maggiore.



Infine, se osserviamo al titolo d’istruzione, il 72,2% ha conseguito il titolo di scuola media, il 24,(% il diploma e solo il 2,6% un titolo di laurea. Un problema che riguarda in particolar modo i soggetti con meno formazione e con meno skills.
Insomma, il reddito di cittadinanza ha rappresentato un vero e proprio flop. Quale potrebbe essere la sua alternativa?
In un paese civile come dovrebbe essere l’Italia un sostegno contro la povertà (o ancora meglio un integrazione del reddito) deve essere presente, ma già da prima la messa in atto del rdc in tanti avevano espresso le loro perplessità che purtroppo si sono avverate (con anche alcune aggravanti come i navigator). Alla fine per come è stato implementato e la velocità della sua attuazione si è dimostrato come quello che era, puro e semplice voto di scambio. Un primo passo sarebbe sganciarlo dalle politiche attive per il lavoro che dovrebbero essere completamente riformate (cominciando dai centri per l’impiego), rimodularlo verso chi ha più bisogno (famiglie con tanti figli, stranieri), modularne l’ammontare secondo il costo della vita (cosa che comunque non è facile da fare) e fare più controlli a priori su chi ne ha diritto. Ovviamente però finchè le offerte di lavoro non ci sono, sono magari dall’altra parte d’Italia con contratti a termine e la maggior parte delle persone non hanno dei percorsi di studi (adatti a cosa cerca il mercato ma a volte anche quasi completamente assenti) non so neanche se basterebbe la bacchetta magica.
Sicuramente bisogna migliorare il mercato del lavoro italiano. Quest’ultimo non tiene conto dell’area geografica di riferimento ad esempio, del costo della vita, come diceva anche lei nel commento. L’approvazione di un salario minimo al livello europeo potrebbe essere una soluzione. Sicuramente un reddito di inclusione potrebbe aiutare a combattere la povertà. Il reddito di cittadinanza si è rivelato purtroppo uno strumento inutile. La ringraziamo per il suo commento riguardo l’articolo.