Economia, Scienze economiche

Imprese zombie: e se la soluzione fossero i dipendenti?

Nel suo discorso alla Camera, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha sostenuto come “Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi.” La politica italiana, d’altro canto, non è nuova a questo tipo di distinzioni: già, infatti, Luigi Einaudi (ministro del Tesoro, nonché Presidente della Repubblica Italiana) faceva una distinzione tra “baliatico” (tenere a galla imprese in crisi con una assistenza pubblica prolungata) e “salvataggio” (misura temporanea, rapida ed eccezionale, attuata per evitare danni sistemici e con l’obiettivo di evitare il danno di chi non è responsabile della situazione di crisi che si è venuta a creare). Anche noi, nel nostro piccolo,  ci siamo occupati del tema delle “aziende zombie” già in altri articoli (a cui vi rinviamo alla lettura) in cui cercavamo di capire cosa fossero, quante ne erano (e sono) presenti e delle possibili conseguenze di una perdita di controllo del fenomeno in parola. Nell’articolo di oggi ci poniamo una domanda diversa: come individuarle? Quali i possibili strumenti di risoluzione della problematica? Il tutto seguendo la interessante prospettiva presentata dall’economista italoamericano Luigi Zingales, Robert C. McCormack professor of Entrepreneurship and Finance presso la University of Chicago Booth School of Business.

Come Draghi anche Zingales ha come stella polare l’assunto, corretto, che la strategia sinora adottata dai policymakers per aiutare le imprese colpite dalla crisi dovuta al COVID-19, imperniata sull’utilizzo dei sussidi (più o meno generosi), non possa essere sostenibile nel lungo periodo: in primo luogo per questioni legate alla finanza pubblica (i sussidi alle imprese sono delle spese correnti, che tradizionalmente sono considerate dalla letteratura economica le meno “produttive” in termini di ritorni economici) sia per questioni di produttività, che verrebbe alla lunga depressa come effetto di politiche incentrate non sulla disciplina di mercato ma sul trasferimento di risorse pubbliche alle imprese. Con riferimento all’ultimo aspetto, è del tutto evidente come il ricorso sistematico a questo tipo di politica comporti la conseguenza che al contrario di ciò che avviene con la disciplina di mercato, in cui i fattori della produzione si dirigono verso gli impieghi che corrispondono una maggiore remunerazione, le sovvenzioni alle imprese minano questo processo di adattamento: esse mantengono in vita delle aziende improduttive e di conseguenza dirottano i fattori della produzione verso gli impieghi necessari a queste aziende.

Allo stesso tempo, tuttavia, Zingales riconosce come questo tipo di ragionamento non sia universale ed applicabile, in via generale, ad ogni singola impresa. Soprattutto a seguito della crisi da COVID-19 (largamente imprevista ed in effetti imprevedibile) è infatti accaduto che molte aziende “sane” in tempi normali si sono altamente indebitate, il che vuol dire che una subitanea e repentina cessazione dei sussidi erogate a favore delle imprese non avrà solo un impatto su quelle che sono imprese “zombie” (che magari lo erano indipendentemente dalla pandemia) ma potrebbe averne anche su imprese altrimenti sane che si sono fortemente indebitate nel corso dell’ultimo anno e mezzo; il tutto con un impatto negli attivi dei bilanci bancari, che sarebbero colpiti duramente nel caso si verificasse una catena di fallimenti (soprattutto se questi fossero, appunto, ingiustificati) affossando ancora di più il già debole settore creditizio italiano.

Separare le aziende sane dai cosiddetti “morti viventi” non è facile anche in tempi normali: l’abilità del settore bancario, in un certo senso, costituisce in questo. E se distinguere tra imprese sane e non è difficile per il settore privato nei momenti migliori, è particolarmente difficile farlo ora, quando c’è ancora un alto grado di incertezza sul mondo post-pandemia che ci troveremo ad affrontare.

Quello che il settore privato può fare, tuttavia, è utilizzare una delle sue frecce migliori nella sua faretra per far sì che vengano posti in essere gli incentivi per acquisire informazioni diffuse. Ciò è proibitivo per un’agenzia governativa, soprattutto per una che non dispone delle necessarie competenze accumulate. Tuttavia anche a ciò, secondo Zingales, c’è una soluzione.

Nella fattispecie, egli propone (portando l’esempio degli studenti che debbono valutare un loro compagno di classe) che il ricevimento di qualsiasi sovvenzione governativa da parte delle aziende sia subordinato all’approvazione del finanziamento stesso da parte di un’assemblea dei lavoratori; in modo da distinguere quali aziende siano meritevoli di essere salvate (come detto in precedenza, per situazioni straordinarie e sotto certe specifiche condizioni) e quali invece debbano essere lasciate fallire per far sì che i fattori della produzione possano essere allocati in altri impieghi. Ovviamente, Zingales sa bene che  differenza dei compagni di classe, i dipendenti hanno un incentivo a mentire. Se l’impresa dovesse fallire, perderebbe il posto di lavoro. Poiché approvare l’erogazione del finanziamento alla loro azienda non solo non costa loro nulla (anzi, molto probabilmente avrebbero tutto l’interesse affinché l’attività continui) le prospettive future dell’azienda stessa potrebbero essere sopravvalutate dai lavoratori. Ma questo problema può essere facilmente superato con incentivi adeguati. In base a tale regime, se la maggioranza dei lavoratori votasse immediatamente per liquidare l’impresa, i suoi dipendenti riceverebbero l’indennità di disoccupazione più a lungo. Invece, come riporta l’articolo, 

“Se si votasse per continuare, il governo erogherebbe del denaro per rendere l’azienda redditizia. Ma se successivamente tale azienda dovesse fallire, la copertura della disoccupazione dei lavoratori sarebbe fortemente limitata – possibilmente a zero. I lavoratori che non vedono futuro per la loro azienda preferirebbero il periodo più lungo di protezione sociale. D’altro canto, coloro che pensano che la loro impresa abbia un futuro non la metterebbero a repentaglio votando per liquidare. Se adeguatamente calibrato, un tale schema sarebbe in grado di separare gli zombi da aziende altrimenti sane gravate dagli effetti della pandemia. Lo farebbe rendendo esplicito il costo delle sovvenzioni: più sostegno oggi significa che i governi potrebbero avere meno capacità fiscale per aiutare i lavoratori domani”.

In un detto popolare si dice che occorra “separare il grano dalla pula”, con riferimento all’operazione di prendere la parte “buona” della spiga e rigettare quella inutilizzabile. Anche in un ambito complesso come quello delle aziende in crisi, tale operazione, assieme ad un quadro istituzionale che – come indicato più volte – garantisca una maggiore flessibilità del mercato del lavoro accompagnata da serie politiche attive per il lavoro, può portare ad una gestione ordinata, sana ed efficiente delle crisi proteggendo i meritevoli senza penalizzare l’efficienza del sistema economico nel suo complesso.

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