Economia, Scienze economiche

INFLAZIONE, QUO VADIS?

Si fa un gran parlare, in questi giorni, di inflazione. C’è chi dice che sarà temporanea, chi dice che sarà strutturale e chi parla di scenari – addirittura – in stile anni Settanta. Le ipotesi sugli andamenti dell’inflazione sono molteplici e molte di questi coinvolgono l’implementazione di modelli molto complessi che, per loro natura, non possono essere descritti in un articolo.

C’è un modo abbastanza semplice, tuttavia, per poter capire come si comporterà il livello generale dei prezzi nel medio-lungo periodo facendo riferimento alla oramai famosa equazione degli scambi dell’economista di scuola monetarista Irving Fisher, che ricordiamo brevemente qui:

MV = PY

¸dove “M” è l’offerta di moneta, “V” è la velocità di circolazione, “P” è il livello generale dei prezzi e “Y” è il prodotto aggregato in termini reali. Da questa equazione si ricava, risolvendo per “P” e supponendo “V” e “Q” costanti, che il livello dei prezzi viene a dipendere, in ultima analisi, da una variazione della quantità di moneta presente all’interno del sistema economico. Niente di nuovo sotto il sole, direte voi. Non proprio, ed in questo articolo cercheremo di illustrare un modello, comparso per la prima volta in un paper del 1982 (aggiornato poi nel 1991) che tenta di stabilire se, nel lungo periodo, il livello generale dei prezzi sia effettivamente legato alla quantità di moneta presente nell’economia. Il modello, riprendendo l’equazione degli scambi di Fisher, è estremamente semplice. Esso, come nella versione “originaria” dell’equazione degli scambi si presenta come

MV*= PY*

, dove “M” è l’offerta di moneta “V*” è il trend della velocità della circolazione, “P” è il livello generale dei prezzi ed “Y*” è il prodotto potenziale reale in un dato sistema economico. Di base, in questo modello  si prende il trend della velocità di circolazione, il PIL potenziale e l’offerta di moneta per stimare il livello dei prezzi e poi lo si confronta con una misura del livello generale dei prezzi effettivo. Poi, per capire come le due variabili si comportano nel corso del tempo, si individua il gap esistente tra le due variabili: infatti, gli autori del paper in cui questo modello è apparso per la prima volta, sostengono che nel lungo periodo il livello dei prezzi effettivo dovrebbe convergere con il livello P*; pertanto se P>P* allora dovremmo aspettarci una discesa del livello dei prezzi, mentre se P<P* dovremmo aspettarci una crescita del livello dei prezzi. I risultati di questa analisi sono molto interessanti. Utilizzando dei dati tratti dal sito della Federal Reserve di St.Louis relativi all’offerta di moneta (M3) ed al PIL nominale negli Stati Uniti (limitiamo l’analisi ai soli USA, considerando che è lì che si sta verificando principalmente la dinamica oggetto d’esame) si ottiene una stima della velocità di circolazione (e del relativo trend, stimato con una regressione polinomiale di quarto grado con un R2 uguale a 0,901) come quella che segue:

È interessante notare, in questo senso, come nel corso dei mesi “duri” della pandemia si è verificato un deciso calo della velocità di circolazione, tale per cui si è determinata una caduta nel livello generale dei prezzi.

A livello di offerta di moneta (M3), invece, la situazione è la seguente:

Si noti, in particolare, l’importante variazione avvenuta tra il Q1 ed il Q2 dell’anno scorso, dovuta alle importanti espansioni monetarie attuate per contrastare la crisi dovuta al COVID-19.

Questa la situazione del Prodotto Interno Lordo Potenziale reale:

Con queste grandezze possiamo ora calcolare il nostro livello P* per gli Stati Uniti ed individuare l’eventuale gap esistente con il livello dei prezzi effettivo (misurato, nel nostro caso, con il deflatore del PIL) ed il relativo gap (misurato in punti percentuali):

Si vede chiaramente, e le statistiche relative ad una semplicissima regressione condotta tra le due variabili P e P* lo confermano, che le due variabili sono estremamente correlate fra di loro, il che vuol dire che ha senso parlare di questo modello come possibile mezzo per spiegare l’andamento dei prezzi nel futuro, essendo che l’R2 assume un valore significativo:

Inoltre, complicando un attimo il modello e inserendo una variabile chiave nella determinazione dei prezzi futuri (ossia le aspettative di inflazione) come fatto da Lars Christensenn (economista danese di scuola monetarista), si ottengono dei risultati simili:

Quello che vediamo in questa stima, ottenuta mediante una regressione OLS fatta con il valore dell’inflazione attesa stimata dall’Università del Michigan (i cui valori sono disponibili sul sito della FED di St. Louis) e la variazione dei tre trimestri precedenti di P*, è che il gap tra P* e P è statisticamente significativo e quindi può essere utilizzato per prevedere i cambiamenti dell’inflazione. Osserviamo quindi cosa è accaduto a questo gap di recente. Come si può vedere dalla figura in cui si mostra la serie storica di questi valori, vediamo che a causa di un aumento dell’offerta di moneta il valore di lungo periodo del livello generale dei prezzi è salito mentre – per ora – un tale aumento non si è osservato nel livello generale dei prezzi effettivo. Questo ha causato un gap di circa il 13% tra P* e P che, nel lungo periodo, è destinato a chiudersi. Come? Fondamentalmente, in tre modi: o diminuisce la velocità di circolazione (e quindi il livello generale dei prezzi), o la politica monetaria diventa restrittiva, o – molto banalmente – il livello generale dei prezzi effettivo aumenta e quindi andrà a chiudere il gap.

La diminuzione della velocità di circolazione sembra un’eventualità alquanto improbabile, dal momento che è verosimile supporre che finiti i lockdown e riprendendo l’attività economica, le persone saranno più propense a consumare e le imprese più propense ad investire; per cui tale velocità difficilmente andrà a diminuire.

Altrettanto improbabile, perlomeno nel breve termine stando alle dichiarazioni di Powell e del FOMC, sembra essere l’eventualità di una politica monetaria restrittiva; dal momento che fino a quando non si vedranno dei segnali di ripresa molto più solidi di quelli sinora lanciati dal sistema economico la FED non è intenzionata a staccare la spina delle immissioni di liquidità.

Resta, a questo punto, la strada di un aumento del tasso di inflazione tale che il livello dei prezzi effettivo si riporti ad un valore tale che il gap tra questo ed il livello dei prezzi teorico (P*) di lungo periodo si riduca. Ovviamente, in questo senso, come un economista del calibro di Monacelli sostiene, giocano un ruolo fondamentale le aspettative, per cui quella che potrebbe sembrare una piccola fiammata inflazionistica nel breve periodo, se accompagnata da dei segni di eccessiva “ubriachezza” dei board delle banche centrali, potrebbe trasformarsi in una inflazione strutturale di qualche punto sopra il target.

In ogni caso, indipendentemente dai modelli, solo il futuro ci dirà quali saranno le prospettive per l’inflazione nei prossimi mesi. Quello che è certo è che, a fronte del loro mandato della stabilità dei prezzi, se una ripresa dell’economia e dell’inflazione dovesse manifestarsi, parlare di come uscire dagli stimoli monetari sarà il tema di maggior discussione nelle sedi delle maggiori istituzioni centrali mondiali.  

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