Economia, Scienze economiche

Job Hopping: uno sport o un nuovo modo di intendere il lavoro?

Come posso trovare un lavoro gratificante? La mia remunerazione salariale può garantirmi un tenore di vita equo? Un buon lavoro può migliorare il mio status sociale? Posso puntare ad un salario più elevato?

Interrogativi questi, che colpiscono la maggior parte degli occupati, di coloro i quali cercano lavoro e soprattutto la generazione dei “Millennials”, i nati tra i primi anni Ottanta e la metà degli anni Novanta.

Sebbene in Italia per molti anni la tendenza prevalente degli occupati sia stata la ricerca di un lavoro stabile e di continuità economica, il fenomeno del “Job Hopping”, letteralmente inteso come l’attitudine a “saltare da un lavoro all’altro” in breve tempo, sta prendendo sempre più il passo sul lavoro indipendente, libero e stabile.

Il fenomeno del Job Hopping nasce con un’accezione prettamente negativa perché legato all’incapacità di rimanere a lungo all’interno della stessa azienda o all’incapacità di mantenere stabilmente la propria posizione lavorativa all’interno di un’azienda, era inteso come un vero e proprio “sport” i cui giocatori non erano affatto affidabili. Al giorno d’oggi, invece, il modo di intendere il lavoro è cambiato, passare da un posto all’altro è diventata una pratica largamente diffusa in Italia e soprattutto in America. È oggi considerata dai più come un’opportunità di crescita professionale da considerare attentamente; rispecchia, a tutti gli effetti, i profondi cambiamenti che hanno attraversato il mondo del lavoro negli ultimi anni.

In Italia sono soprattutto i giovani a propendere per questa prassi: secondo una ricerca di Deloitte su 10 mila giovani della generazione Y, cioè lavoratori nati tra il 1983 e il 1994, il 43% di questi sarebbero favorevoli all’idea di cambiare lavoro a due anni dall’assunzione, contro un 28% che vuole restare nella stessa azienda dopo cinque anni dal primo giorno di lavoro. Da una ricerca simile emerge che il 21% dei Millennials ha cambiato lavoro negli ultimi due anni: un percentuale tre volte superiore rispetto ai non Millennials, che genera un turn over della forza lavoro pari a 30,5 miliardi di dollari ogni anno. Inoltre, è stimato che in America, terra pioniera di questa pratica, il 64% dei lavoratori siano Job Hopper.

A ben vedere la causa principale alla base di questa tendenza è riconducibile al livello di disoccupazione presente nel paese di riferimento: il fenomeno funziona meglio dove il tasso di disoccupazione è basso. In poche parole, dove ci sono più offerte di lavoro rispetto alle domande per un lavoratore è più semplice cambiare occupazione. Anche in Italia questo fenomeno sta prendendo piede, sebbene qui la disoccupazione sia un dato in continuo rialzo.

Cosa spinge i giovani a passare da un lavoro all’altro?

Fattori psicologici, il continuo cambiamento del comportamento dei lavoratori e del loro nuovo approccio al mercato del lavoro sono sicuramente alla base della diffusione di questo fenomeno in Italia negli ultimi anni. Il Job Hopping sta assumendo sempre di più carattere positivo, ma perché il salto da un lavoro all’altro può portare benefici?

I cosiddetti “Job hopper” puntano a:

– Cambiare il proprio raggio di competenze;

– Rafforzare le skills necessarie;

– Ampliare la sfera dei contatti;

– In alcuni casi, è possibile anche migliorare le proprie condizioni salariali (un Job Hopper può arrivare ad aumentare il proprio stipendio di almeno il 20%).

Come i recruiter vedono i job Hopper?

Se da un lato le aziende beneficiano del fenomeno del Job Hopping perché portano al loro interno figure entrate in contatto con realtà diverse, di diverse dimensioni, provenienti da settori diversi e con un inevitabile vasto bagaglio di esperienze, questo tipo di pratica non è esente da svantaggi: il principale va sotto la voce dell’affidabilità.

Non tutti i selezionatori, infatti, rimarranno impressionati da un curriculum vitae che mostra la tendenza a saltare da un posto all’altro in beve tempo, quasi come uno sport. Bisogna quindi chiedersi quanto sia importante per i recruiter l’aspetto della stabilità e dell’affidabilità del singolo lavoratore, e come questo può impattare sulla sua effettiva assunzione. Inoltre, bisogna interrogarsi sulla reale convenienza di tale pratica, sulla possibilità di avere un intervallo di tempo minimo sul quale basarsi per valutare la propria posizione lavorativa attuale prima di cambiare lavoro e cercare nuove opportunità di carriera.

Puoi continuare a seguirci su https://t.me/economiaitalia per altri articoli

+ posts