Giurisprudenza

Il principio dell’equilibrio di bilancio francese

In Francia gli anni della crisi economica sono stati anche gli anni di importanti riforme, come quella delle istituzioni repubblicane, che vedeva la luce con una riforma costituzionale nel 2008, per rafforzare e modernizzare il sistema istituzionale francese.

Gli ultimi interventi, però, sono rivolti anche alla realizzazione di piani strategici, elaborati al fine di contenere la spesa pubblica e permettere un progressivo risanamento dei conti pubblici. Questi provvedimenti sono compresi in un ampio progetto di sistemazione degli equilibri costituzionali, tra i quali ci sono anche le procedure di bilancio e i meccanismi di finanza pubblica. Questi ultimi, del resto, offrono uno spaccato emblematicamente pregnante dei rapporti tra i poteri, esecutivo e legislativo, e dei principali assetti che legano Governo e Parlamento.

Uno dei principi caratterizzanti il bilancio pubblico è quello di equilibrio delle finanze pubbliche, oggetto di numerosi dibattiti sin dal XIX secolo. Difatti, fin dal 1814 questo era un obiettivo da raggiungere, un ideale, che solo dopo la Restaurazione è diventato simbolo di saggezza e rigore. Questa teoria può essere definita ‘classica’ perché giudica le eccedenze prediligendo l’osservanza di un’uguaglianza contabile tra entrate ed uscite, ammettendo comunque delle eccezioni. I principi di controllo e garanzia su cui si basava il sistema francese risultano evidenti dall’autorizzazione parlamentare annuale e dalla specificità degli stanziamenti, in base ai quali il voto del bilancio avveniva per ministeri e non per blocchi.

Nella seconda metà dell’Ottocento, invece, le finanze pubbliche venivano considerate come neutre rispetto all’economia, riducendo quindi al minimo gli ‘interventi’ della vita economica connessi ai prelievi di risorse e di erogazione di servizi, tutto per evitare le possibili ingerenze dello Stato alterando gli equilibri di mercato. Questa concezione è durata fino al periodo tra le due Guerre Mondiali, quando sono state messe in discussione da quelle che vengono definite ‘politiche keynesiane’, che sottolineano le potenzialità negative dell’equilibrio di bilancio evidenziando i meriti del rilancio dell’economia mediante il disavanzo[1].

La definizione di equilibrio, in Francia, è stata sintetizzata con una legge del gennaio 1959 che mette in evidenza il forte legame tra l’equilibrio di bilancio ed il contesto economico-finanziario in cui si inserisce; con questa logica è proprio il contesto a determinare il livello di equilibrio o squilibrio di bilancio. Nel primo articolo della legge del 1959 si stabilisce, infatti, che le leggi finanziarie determinano la natura, l’importo e la distribuzione delle risorse e delle spese dello Stato, tenuto conto dell’equilibrio economico e finanziario dalle stesse definito. In questo modo non si crea una corrispondenza tra entrate ed uscite e si permette, così, il determinarsi di una situazione di squilibrio. L’ordonnance del 59 appare figlia di una visione condizionata dalla teoria keynesiana. Attualmente invece le leggi di bilancio devono definire un equilibrio che non è solo finanziario ma anche economico, superando sia la regola del pareggio contabile che l’impossibilità di fare deficit.

L’équilibre économique et financier viene fatto dal Governo e precede l’autorizzazione delle spese; l’equilibrio diventa, quindi, caratterizzato da una forte soggettività e relatività, dato che viene determinato volta per volta nella legge finanziaria secondo gli obiettivi di politica economica del Governo. L’ordonnance del 59, assieme alla Costituzione del 58, rappresenta uno dei caposaldi del c.d. parlamentarismo razionalizzato.

L’ordonnance è stata abrogata il 1 agosto 2001 con la legge n. 69 (conosciuta come LOLF), modificata ed integrata nel 2005 con la legge 779, per molteplici motivi, tra cui il fatto che gli stessi funzionari ed amministratori pubblici tenuti ad applicarla, la criticavano perchè troppo tecnica e con regole estremamente precise (che non avevano comunque impedito la persistenza ed il consolidamento di un bilancio in disavanzo).

Il Parlamento desiderava beneficiare di una maggiore informazione da parte del Governo ed esercitare quindi un controllo più incisivo sulle finanze pubbliche; queste sono state influenzate molto dai profondi cambiamenti che hanno caratterizzato lo Stato francese negli ultimi anni, tra i quali:

  • Il decentramento, che ha aumentato il peso finanziario delle collettività territoriali e reso più complessi i loro rapporti finanziari con lo Stato.
  • Lo sviluppo delle finanze sociali, con la creazione delle c.d. leggi di finanziamento della Sicurezza sociale.
  • L’importanza della costruzione comunitaria prima e dell’Unione europea poi, con particolare riferimento all’influenza del patto di stabilità e crescita sulle politiche di bilancio nazionali.

Nella LOLF il concetto di equilibrio economico e finanziario, al centro della legge del 59, viene sostituito dall’equilibrio finanziario e di bilancio e dalla volontà di rafforzare la trasparenza e la chiarezza della procedura di autorizzazione del bilancio, distinguendo in modo netto le due tipologie di equilibrio. Questa legge non prevede regole numeriche volte a limitare il deficit e debito eccessivo, ma stabilisce una modalità di gestione delle finanze pubbliche basata sulla razionalizzazione della spesa.

Uno dei pregi della legge del 2001, infatti, è quello di aver reso preponderante il ruolo dell’esecutivo in materia di bilancio, il Parlamento infatti lo autorizza e ne controlla l’applicazione.

La legge del 2001 è stata costruita intorno a due idee centrali: la “modernizzazione” dello Stato e della gestione pubblica ed il ripristino di un ruolo attivo del Parlamento nell’ambito del controllo delle leggi in materia di bilancio. Un primo passo c’è stato con una definizione più precisa degli obiettivi delle politiche pubbliche, al fine di incentivare gli amministratori responsabili ad adottare uno schema più pertinente di organizzazione e di gestione delle amministrazioni.

Allo stesso tempo, per il secondo obiettivo, si cerca di affermare la responsabilità, a tutti i livelli, dei decisori pubblici sui risultati da raggiungere e di ampliarne i poteri mediante nuovi strumenti di gestione. Infine, secondo una terza finalità, la riforma avrebbe dovuto permettere di migliorare i risultati della gestione pubblica in termini di efficienza, efficacia e qualità dei servizi resi ai cittadini, grazie alla formulazione di obiettivi e linee strategiche presentate al Parlamento e all’introduzione di indicatori della performance in base ai quali misurare i risultati ottenuti.

Il passaggio da una logica dei mezzi al paradigma dei risultati, rende i ministeri dei veri e propri enti di gestione. La politica lascia spazio alla visione manageriale, con la conseguenza di una revisione profonda della tradizionale concezione della finanza

pubblica, della logica di intervento nell’ambito del servizio pubblico nonché delle relazioni esistenti tra le istituzioni della Quinta Repubblica.

Puoi continuare a seguirci su https://t.me/economiaitalia per altri articoli

+ posts