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La giustizia nel programma del centrodestra

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Un “accordo quadro di programma per un Governo di centrodestra”, denominato “Per l’Italia”: si tratta del documento che, in 15 punti, riassume le proposte politiche della coalizione tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia (fatta salva la possibilità, per ogni partito, di presentare successivamente un proprio programma specifico).

Qui potete trovare il programma completo

Il programma del centrodestra: genericità e contraddizioni

In questo articolo non mi voglio soffermare sulle contraddizioni insite nel programma (come, ad esempio, la “piena adesione al processo di integrazione europea”, che mal si concilia con le idee sovraniste della Meloni), né sulle solite soluzioni a breve termine che vengono offerte come panacea di ogni male (come, in materia tributaria, l’ennesimo condono, denominato in questo caso “pace fiscale” e “saldo e stralcio”), né sulla assoluta genericità del programma (qualcuno mi può spiegare cosa vuol dire “Centralità dell’Italia nell’area mediterranea”? Se non ricordo male, l’ultima volta che il nostro Paese è stato “centrale” nel Mediterraneo era al tempo dell’Impero Romano), né, infine, sulla solita abitudine della politica italiana di prospettare soluzioni, astrattamente condivisibili, senza però indicarne le modalità concrete e, soprattutto, le coperture finanziarie (per una stima dei costi economici del programma del centrodestra, cliccate qui).

Il punto 3 del programma del centrodestra: riforme istituzionali, giustizia, Pubblica Amministrazione

Quello su cui mi vorrei soffermare è il punto 3 dell’accordo, denominato “Riforme istituzionali, della giustizia e della Pubblica Amministrazione secondo Costituzione” che, per mia e Vostra comodità, riporto integralmente:

Soffermiamoci ora brevemente sui singoli punti del programma.

Le riforme istituzionali

In pole position troviamo alcune delle storiche proposte del centrodestra: l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, il potenziamento del federalismo e la valorizzazione degli Enti locali.

Qui si avverte, in maniera forte, l’influenza meloniana e salviniana.

Mi limito a evidenziare che, nell’attuale sistema costituzionale, il Presidente della Repubblica non può essere eletto direttamente dai cittadini. Più precisamente, non perché non si possa modificare la Costituzione in tal senso, ma per il delicatissimo e peculiare ruolo che il Presidente svolge: i Costituenti avevano pensato ad una figura che facesse da “arbitro” tra i vari poteri dello Stato (legislativo, esecutivo e giudiziario), che rappresentasse la Nazione nel suo complesso (al di là delle diverse visioni politiche), sia verso l’interno che verso l’esterno, e che costituisse il primo “guardiano” della Costituzione.

Se proprio si volesse prevedere l’elezione diretta del Presidente, occorrerebbe una revisione dell’intero sistema costituzionale e un ribilanciamento dei poteri dello Stato, di cui, però, nel programma (e nelle dichiarazioni politiche) non si indica la direzione: un semipresidenzialismo alla francese? Una repubblica federale sulla falsariga di quella tedesca? Boh.

Discorso analogo per il federalismo e gli enti locali: astrattamente si può fare (e sarebbe anche auspicabile un intervento in materia, viste le criticità della riforma costituzionale del Titolo V del 2001, drammaticamente emerse durante la Pandemia), ma sarebbe bello comprendere cosa concretamente il centrodestra immagini ed abbia intenzione di fare in merito.

Le riforme della giustizia

Questo è, a mio giudizio, il punto più problematico del programma, per diverse ragioni.

In primo luogo, non si può non guardare con diffidenza a chi, pur avendo già avuto esperienze di governo più o meno durature negli ultimi 30 anni, non solo non ha contribuito a migliorare il sistema giustizia, ma ha sempre dimostrato una certa “diffidenza” (per non usare altri termini) nei confronti della magistratura che, ricordiamolo, in uno Stato di diritto costituisce uno dei tre poteri dello Stato.

Al di là di questa considerazione personale, però, il punto centrale è che un intervento sull’ordinamento giudiziario nel suo complesso e sull’organo di autogoverno dei magistrati (il Consiglio Superiore della Magistratura, ricordiamolo, ha rilevanza costituzionale in quanto espressamente previsto dalla Costituzione, che ne delinea la composizione e i compiti agli artt. 104 e 105), proprio per la sua importanza e delicatezza, non dovrebbe essere una “bandierina” di una singola forza politica o di una coalizione (qualunque essa sia), ma il risultato di uno sforzo collettivo di tutte le forze politiche che compongono il Parlamento.

Una proposta che non tiene conto del lavoro fatto finora

Senza contare che, nel programma, non si tiene assolutamente conto di quanto già realizzato in materia dal Governo Draghi (come, ad esempio, la recentissima riforma della giustizia tributaria), di cui facevano parte ben 2 delle 3 forze politiche dell’odierna coalizione di centrodestra.

In secondo luogo, il punto in esame è (come del resto buona parte del programma) assolutamente generico.

Astrattamente, siamo tutti d’accordo sul fatto che occorra un “efficientamento” del sistema giustizia, ma, da queste poche righe, non si comprende come intendano raggiungere tale risultato: aumentando il numero dei magistrati? Aumentando il personale degli uffici giudiziari? Modificando i codici di rito, intervenendo su procedure vecchie e farraginose? Prevedendo la possibilità, per il giudice, in caso di soccombenza, di condannare in solido la parte ed il suo difensore, che in questo modo sarà più “motivato” a suggerire al proprio cliente di evitare di intraprendere una lite temeraria o puramente dilatoria?

In terzo luogo (e qui ci scappa la risata), il “diritto alla buona fama”. Forse, a chi ha scritto il programma, sfugge il fatto che un tale diritto, in realtà, già esista: si tratta del diritto all’onore e della presunzione di colpevolezza, di cui però alcuni politici hanno evidentemente una visione distorta.

Lo “stop ai processi mediatici” è poi assolutamente incommentabile, considerando che proviene da soggetti che possono vantare la “paternità” di buona parte dell’attuale sistema mediatico (giornali e televisioni in particolare), le cui storture e problematiche sono assai note.

Le riforme della Pubblica Amministrazione

Anche qui, sulla carta alcune intenzioni sono buone: digitalizzazione, efficientamento e ammodernamento della Pubblica Amministrazioni sono non solo condivisibili, ma auspicabili. Il problema, come detto anche in precedenza, è che non si comprende come si vogliano raggiungere tali obiettivi né, soprattutto, con quante e quali risorse, umane ed economiche.

Qualche perplessità, invece, generano le altre intenzioni.

Per quanto riguarda la semplificazione del c.d. “Codice degli appalti” (decreto legislativo n. 50 del 2016), tematica cara a Salvini, mi limito a ricordare che l’odierna disciplina dei contratti pubblici costituisce attuazione di diverse direttive europee (direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto): ora, faccio fatica ad immaginare una semplificazione di tale disciplina che non contrasti con le prescrizione europee che, ricordiamolo, nel programma del centrodestra non sembrano essere messe in discussione.

Senza contare che, anche in questo caso, alcuni interventi in materia sono già stati effettuati dal Governo Draghi, di cui Lega e Forza Italia facevano parte.

Ci sono poi le questioni, tra loro collegate, del “Principio della pari dignità fra Pubblica Amministrazione e cittadino” e della “Delegificazione e deregolamentazione per razionalizzare il funzionamento della Pubblica Amministrazione”.

Semplificare la giustizia è un processo lungo

Ora, chi scrive è più meno da sempre un sostenitore dei processi di semplificazione, se non addirittura di liberalizzazione, dell’azione amministrativa: sono convinto, infatti, che uno dei modi per rendere più efficiente l’attività dell’Amministrazione sia quella di coinvolgere ove possibile i cittadini, rendendoli partecipi (e non “succubi”) della cura degli interessi pubblici (è questo, in soldoni, il senso e lo scopo dell’attività amministrativa).

Si tratta, però, di un processo estremamente lungo e complesso, che passa per la formazione e la responsabilizzazione di una cittadinanza consapevole che l’interesse pubblico non sia qualcosa di astratto, di indefinito e di lontano, ma qualcosa che si compone degli interessi, delle necessità e dei bisogni di ciascuno di noi.

DI tutto questo, riuscite a trovare traccia nel programma?

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