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La mobilità sociale in Italia: un ascensore rotto

L’Italia è uno dei dei Paesi Europei con minore mobilità sociale. Cosa comporta questo? Quali sono i suoi effetti? Ne parliamo in questo articolo

Il concetto di mobilità sociale

Con la definizione di mobilità sociale o ascensore sociale si intende il processo che permette ad un individuo di cambiare il proprio status sociale nel corso della sua vita. Questo concetto ha iniziato a svilupparsi negli anni ’60 e ’70 del Novecento. Le nuove generazioni, grazie all’istruzione, hanno potuto ottenere uno status superiore rispetto a quelle precedenti. Infatti, in quegli anni diverse famiglie di contadini divennero piccoli-borghesi. Tuttavia, in Italia questo meccanismo sembrerebbe essersi inceppato Si parla infatti di ascensore rotto, volto a sottolineare un forte stato di immobilità sociale.

I dati sulla mobilità sociale in Italia

I dati sulla mobilità sociale in Italia non sono molto positivi. Secondo l’American Economic Association, se si guarda ai dati delle province italiane, la mobilità sociale è lenta. Nonostante in alcune province del Nord come Bolzano, Monza-Brianza e Bergamo, i figli hanno possibilità maggiori possibilità di guadagno rispetto ai propri genitori. Diversa è invece la situazione delle province del Sud, dove la mobilità generazionale è bloccata, come ad esempio a Catania, Palermo e Cosenza. Secondo il rapporto del Global Society Mobility , le misure migliori da adottare per migliorare lo status delle persone possono essere l’introduzione di politiche che contrastino la concentrazione di ricchezza. Inoltre, nel report si sottolinea l’importanza della tassazione sui redditi e l’importanza della formazione educativa. Il report evidenzia nel seguente grafico i venti Paesi con una maggiore mobilità sociale.

The Global Social Mobility Index, Top 20. Fonte: World Economic Forum

Il Rapporto evidenzia anche la necessità di misure adeguate di protezione per i lavoratori, una cultura meritocratica, condizioni di lavoro e salari adeguati.

Giovani e persone con disabilità le categorie più colpite

In Italia, diversi sono i fattori determinanti per l’assenza di diversità sociale. Innanzitutto, il sistema scolastico non favorirebbe l’inclusione fra i diversi ceti sociali, a partire dalla scuola primaria. Inoltre, l’alta percentuale di NEET (Not in Education, Employment or Traning), ossia la percentuale di giovani fra i 15 e i 29 anni che non studiano e lavorano è di 2 milioni e 100mila, una delle più alte in UE. A ciò si aggiungono le scarse possibilità di formazione per i lavoratori che non permettono avanzamenti di carriera e aumenti della produttività (relazione produttività-salario). Oltre alle giovani generazioni, le categorie disabili, le donne, gli immigrati di seconda generazione e le persone LGQTA+ sono ancora più marginalizzate. Infatti, per queste categorie vi è un maggiori rischio di esclusione sociale. Infatti, secondo quanto riporta l’Istat, una persona su cinque che ha dichiarato di essere omosessuale o bisessuale ha avuto difficoltà nel corso della propria carriera lavorativa.

In sintesi, tutto sembrerebbe passare da migliori opportunità nell’ambito delle istruzione. Con le giuste competenze vi potrebbero essere miglioramenti degli status sociali degli individui, passando da una classe sociale all’altra. Questo tuttavia senza escludere le categorie maggiormente penalizzate, anch’esse perno della nostra società.

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