Economia, Scienze economiche

LE CONSEGUENZE DEL COVID-19 SUL TASSO DI INTERESSE NATURALE

Il COVID-19, virus che da due anni sta dilagando in Europa e nel mondo, sembra cominciare a dare una tregua sia come effetto dell’arrivo della bella stagione sia come effetto delle campagne vaccinali che – più o meno velocemente – sono cominciate nei diversi Paesi. Anche se – auspicabilmente – stiamo vedendo la via d’uscita da questa situazione, le conseguenze a livello sociale e soprattutto economico sono in ogni caso rilevanti. In questo articolo ci occuperemo di quali possono essere queste conseguenze, cercando di osservare se tali conclusioni sono coerenti con quelli che sono i modelli economici di riferimento. Cominciamo.

Diamo un’occhiata innanzitutto a cosa succede al tasso di interesse naturale. In un recente paper viene offerta una visione globale delle conseguenze macroeconomiche delle pandemie utilizzando dati che risalgono al XIV secolo in diverse economie europee. Le pandemie, come molte altre catastrofi naturali, offrono un’opportunità unica per studiare come funzionano le economie. Il loro casuale verificarsi può essere in gran parte considerato completamente scollegato dalle condizioni economiche sul campo. Si potrebbe dire che sono come sperimentazioni controllate randomizzate su larga scala. Le lezioni da tali eventi storici possono essere una guida utile di come si svolge di solito il futuro.

Utilizzando i dati recentemente disponibili sui rendimenti del debito sovrano a lungo termine che risale al XIV secolo, gli autori del paper in oggetto stimano la risposta di un tasso di interesse naturale europeo a seguito di quindici grandi pandemie, a partire dalla peste nera. Ognuno di questi quindici episodi è costato almeno 100.000 vittime. La possibilità che i tassi reali globali possano essere abbattuti da shock locali avversi è ben nota, e questa – come ammettono gli autori stessi – è un’esplorazione storica di questo tema.

Il tasso d’interesse naturale reale è un’importante variabile di politica economica. Le banche centrali, infatti, adeguano la loro politica monetaria intorno a questo tasso in risposta a condizioni che possono far sì che l’economia si discosti dal suo potenziale in modi che distorcono i prezzi, i mercati del lavoro e la crescita. A lungo termine, con il declino dell’importanza di queste momentanee distorsioni, la domanda relativa e l’offerta di fondi mutuabili da parte di risparmiatori e mutuatari determina il tasso naturale.

Oltre a costituire una guida politica, il tasso naturale è un importante barometro economico. Ad esempio, man mano che le popolazioni diventano più frugali, aumenta l’offerta relativa di risparmio; oppure, quando il ritmo di fondo della crescita diminuisce, gli investimenti diventano meno attraenti; in entrambi i casi, il tasso naturale diminuisce per ripristinare l’equilibrio. Questi sono solo due esempi delle molte forze secolari che fanno sì che il tasso naturale sia stagnante.

In particolare, il tasso di interesse naturale viene dedotto utilizzando dati grezzi sui rendimenti. I dati grezzi e la stima del tasso naturale sono visualizzati nella figura.

Come si può vedere, il tasso naturale è in calo da secoli, anche se ad essere rilevante come punto di riferimento per i risultati di questa indagine è il calo del tasso reale negli ultimi 30-40 anni.

Sulla base di questa stima del tasso di interesse naturale reale, la figura 2 mostra la risposta del tasso naturale a una pandemia, da 1 a 40 anni dalla fine della pandemia (le regioni ombreggiate forniscono una banda standard di confidenza degli errori 1 e 2).

Come mostra la figura, le pandemie hanno effetti che durano per decenni. A seguito di una pandemia, il tasso di interesse naturale è inclinato verso il basso di quasi 1,5 punti percentuali circa 20 anni dopo, cioè paragonabile al calo del tasso naturale sperimentato dalla metà degli anni ’80 ad oggi. Il calo del tasso naturale indotto dalla pandemia si distende lentamente in modo che circa quattro decenni dopo, il tasso naturale ritorni al livello che avrebbe avuto se la pandemia non fosse avvenuta.

Questa evidenza, d’altronde, è coerente con tutti i modelli di crescita neoclassici, i quali sostengono che la perdita di manodopera senza una concomitante distruzione del capitale porti a un riequilibrio dei relativi rendimenti del lavoro e del capitale. I risultati, sostengono gli autori, possono anche essere amplificati da un aumento del risparmio da parte dei sopravvissuti alla pandemia: costoro potrebbero voler semplicemente ricostruire la loro ricchezza o semplicemente agire in modo più parsimonioso di prima, forse per motivi precauzionali.

Gli autori, poi, stimano gli impatti di altri grandi eventi negativi sul tasso di interesse naturale (come ad esempio, delle guerre) ed i risultati sono quelli che seguono:

In questo contesto, concludono gli autori, anche le politiche fiscali sono avvantaggiate. Infatti, sostengono,

“Un periodo prolungato di bassi tassi di interesse reali probabilmente fornirà ai governi uno spazio fiscale gradito per mitigare le conseguenze degli interventi di stimolo contro la pandemia. In effetti, le emissioni di debito pubblico sicuro possono contribuire a scongiurare l’ulteriore tendenza al ribasso dei tassi di interesse reali”.

La nuova sfida che il COVID propone, quindi, è quella di contrastare i suoi effetti nel breve periodo e – allo stesso tempo – mantenere un occhio rivolto al lungo termine per modulare correttamente le politiche economiche.

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