Economia, Scienze economiche

L’ECONOMIA ITALIANA DOPO PRIMA GUERRA MONDIALE

Oggi, 24 maggio, ricorre il 106esimo anniversario dell’entrata dell’Italia nel primo conflitto mondiale. In questo articolo cercheremo di analizzare quali sono state le conseguenze economiche della Prima Guerra Mondiale per il nostro Paese.

Il corso degli eventi nell’economia italiana dopo la guerra sembra corrispondere a quello del contesto internazionale, anche se con qualche ritardo: una continuazione delle tendenze inflazionistiche tipiche della situazione post-bellica del 1919, e la crisi del 1920-1921 conclusasi nei primi mesi del 1922. I principali indicatori economici sembrano confermarlo, come illustrato dalle seguenti tre tabelle:

A livello industriale, la situazione era abbastanza complessa. Nel dopoguerra gli industriali ottennero una risoluzione molto favorevole dei contratti di guerra non conclusi e della maggior parte delle eccedenze di materiale bellico, in parte grazie al fatto che i leader del Comitato Interministeriale per la Risoluzione delle industrie belliche erano essi stessi imprenditori di spicco, i quali vollero accelerare la transizione verso un’economia in tempo di pace e un rapido ripristino dei trasporti interni e del commercio internazionale, allo scopo di entrare in mercati che, prima della guerra, erano stati controllati da paesi che ora si trovano in grandi difficoltà, come la Germania.

Lo Stato italiano non era certo nelle migliori condizioni per soddisfare queste richieste. La guerra era stata in gran parte finanziata dall’indebitamento interno ed estero e dall’espansione monetaria; la bilancia commerciale e la bilancia dei pagamenti erano in notevole disavanzo, la lira era stata svalutata nei confronti della sterlina e del dollaro ed erano state innescate forti spirali inflazionistiche.

A fronteggiare la situazione fu chiamato il presidente del consiglio Nitti, il quale perseguì una politica di sostanziale mantenimento di buoni rapporti con gli Alleati (specie con la Gran Bretagna), allo scopo di ottenere dagli stessi un adeguato sostegno economico per il Paese; alleati che – tuttavia – non sembravano ricambiare il favore: ad esempio – secondo l’italiano Giancarlo Falco nel suo “L’Italia e la politica finanziaria degli alleati” sostiene che l’economista britannico John Maynard Keynes (che all’epoca svolgeva il lavoro per il ruolo di consulente per il governo britannico) definì l’Italia un “caso perso” ed invitava il governo britannico a non esporsi troppo nei confronti del nostro Paese.

D’altra parte, la nostra situazione non era delle migliori. Come mostrato nella seguente tabella, infatti, nonostante il governo Nitti cominciò un massiccio taglio delle spese pubbliche (a partire da quelle militari) ed eliminò il calmiere al prezzo del pane imposto durante la guerra e nonostante Giolitti approvò delle nuove tasse per promuovere un “richiamo totale” dei profitti di guerra, in modo ancora più radicale di quanto previsto dalla normativa vigente e dai piani elaborati dall’esecutivo Nitti, la nostra situazione finanziaria e soprattutto monetaria era critica, e non lasciava spazio a dubbi di sorta: un aumento della pressione fiscale accompagnato da un aumento dell’inflazione.

A livello finanziario, è importante notare come Il 1921 sia stato caratterizzato dal crollo dei due più importanti trust italiani: Ansaldo, che era legato alla Banca Italiana di Sconto, e Ilva. In entrambi i casi si trattava di complessi che erano cresciuti enormemente durante la guerra (il capitale sociale del primo era passato da 30 milioni a 500 milioni nel 1918, mentre nel caso del secondo era arrivato a 300 milioni), ma si erano ritrovati in difficoltà nel dopoguerra: cambiamenti nella composizione e nel volume della domanda, strategie industriali errate e speculazioni finanziarie eccessive hanno portato a perdite insostenibili e infine a liquidazioni rovinose; condizione – questa – che indusse il governo Bonomi a intervenire nell’economia anche a costo di rallentare il processo di consolidamento fiscale e monetario avviato dal governo Giolitti.

In tutto ciò non sono da dimenticare le vicende sociali connesse a doppio filo con quelle economiche, che vanno dal biennio rosso sino all’ascesa e consolidamento della dittatura fascista in Italia, con la conseguente distruzione delle purtroppo piccole e scarse briciole di parlamentarismo rimaste nel nostro Paese.

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