Economia, Scienze economiche

L’ipotesi della stagnazione secolare: quali sono le cause? Cosa ci dicono i dati?

Uno degli argomenti di grande discussione tra gli economisti (in particolare quelli specializzati nella trattazione di materie quali la politica monetaria e la teoria della crescita) è la cosiddetta “ipotesi della stagnazione secolare”, elaborata per la prima volta da Alvin Hansen nel 1939 nel suo “Economic Progress and Declining Population Growth” e ripresa recentemente sia dall’ex chariman della Federal Reserve Ben Bernanke in “The Global Saving Glut and the U.S. Current Account Deficit”, da Stanley Fischer, che dall’economista Larry Summers nel suo “U.S. Economic Prospects: Secular Stagnation, Hysteresis, and the Zero Lower Bound.

La teoria, nelle sue variazioni sul tema, sostiene che il tasso di interesse naturale (quello che si formerebbe nel mercato dei capitali nel caso in cui i risparmi venissero scambiati in natura e non in moneta, in equilibrio uguale al rendimento marginale del capitale e al saggio di preferenza temporale) sia talmente basso che le autorità monetarie non possono fissare dei tassi di interesse di breve periodo bassi a tal punto da riportare l’economia al livello di “pieno impiego”: in una parola, si tratterebbe di una situazione – molto keynesiana – in cui i tassi molto bassi non producono un aumento degli investimenti e – quindi – del PIL.  L’ipotesi sottesa alla teoria della stagnazione secolare Keynesiana è, in questi termini, che i risparmi e gli investimenti nel corso del tempo si siano mossi in direzioni opposte: sono aumentati i primi mentre i secondi sono stati stagnanti (o peggio, declinanti), o per un eccesso di risparmio o per una carenza di investimento (dovute, secondo Summers, ad una popolazione sempre più anziana). Sarà vero tutto ciò? Proviamo a guardare ai dati relativi ad i paesi dell’area euro, concentrandoci in primo luogo sulla dinamica risparmio-investimento e, in seguito, vedendo se essa è in qualche modo influenzata dall’andamento demografico.

Cominciamo dal primo punto: i risparmi sono slegati dagli investimenti? Per vedere come si colloca la relazione tra le due variabili utilizziamo un semplice strumento statistico chiamato regressione lineare, che ci consente di stabilire non solo in che direzione si muovono le due variabili ma – soprattutto – in che misura: se la retta di regressione (la linea tratteggiata che indica la tendenza che assumono i dati) ha pendenza positiva (ossia va verso l’alto) abbiamo una relazione positiva tra le variabili (ossia se aumenta una allora aumenta l’altra); mentre se la retta di regressione ha pendenza negativa (ossia se la retta di regressione va giù) abbiamo una relazione negativa tra le due variabili (ossia se aumenta una allora diminuisce l’altra). Detto questo, vediamo come si comporta la relazione tra risparmi e investimenti nel corso del tempo per l’area euro (in aggregato) sia in termini assoluti sia in termini di tasso di variazione percentuale dei risparmi e degli investimenti: 

Vediamo come, sia in termini assoluti sia in termini di tassi di variazione, i movimenti delle due variabili sono essenzialmente simultanei. E questa non è solo una correlazione spuria, come dimostrano i due grafici in cui ho effettuato una regressione dei risparmi e degli investimenti sia in termini assoluti sia in termini di tasso di variazione percentuale; con un r2 che in entrambi i casi mostra una correlazione positiva tra aumento dei risparmi e aumento degli investimenti pari a circa 0,7 (valore alquanto buono). Una prima proposizione della teoria della stagnazione secolare sembra, quindi, confutata.

Cosa dire, quindi, se analizziamo le cause che – secondo i sostenitori della stagnazione secolare – ci hanno portato a questa situazione? In particolare, secondo Summers e Hansen, la causa di una stagnazione dell’economia causata da un eccesso di risparmi sembrerebbe essere causata da un aumento dell’età media: una persona più anziana tenderà a risparmiare di più e – sostengono Hansen e Summers – a ridurre la domanda aggregata e dunque portare il sistema economico verso la stagnazione. Anche questa proposizione, tuttavia, trova uno scarso riscontro nei dati. Per capire come mai, introduciamo una nuova serie di grafici in cui mettiamo in relazione diverse misure dell’invecchiamento della popolazione con l’aumento (o la diminuzione) del tasso di risparmio nel corso di un periodo abbastanza ampio (1995-2019) per il set di paesi appartenenti all’area euro. Per vedere se i risultati sono stati influenzati dall’uso di uno specifico indicatore, la misura dell’invecchiamento della popolazione è stata stimata in tre modi: in primo luogo calcolando il gap tra due valori assunti dal cosiddetto “old age dependency ratio” (ottenuto dividendo il numero di persone over 65 per il numero di persone tra i 15 e i 64 anni), il gap tra diversi valori dell’età media e, infine, il gap che esiste tra due valori assunti dall’aspettativa di vita. I risultati della relazione tra invecchiamento della popolazione e tasso di risparmio sono quelli che seguono:

Come vediamo facilmente dai tre grafici, osserviamo come non vi è (se non, forse, nel caso dell’aspettativa di vita) una relazione statistica chiara tra tasso di risparmio e invecchiamento della popolazione (misurato rispettivamente come variazione dell’old age dependency ratio tra il 1995 e il 2019 nel primo grafico, come variazione dell’età media nel secondo e come variazione dell’età media nel terzo); cosa – questa – che ci suggerisce come l’ipotesi della “secular saving glut” suggerita da Hansen e Summers sia – se non errata – quantomeno non confermata dai dati (nonché da altri studi in cui si conclude che “Demographic trends in Europe do not support empirically the secular stagnation hypothesis” in quanto “Our evidence shows that the age structure of population generates less long-term growth but positive real rates”): se i dati hanno ragione,  l’ipotesi della stagnazione secolare è molto indebolita, soprattutto se aggiungiamo delle altre considerazioni. In primo luogo il fatto che il net return on net capital stock, mostrato in foto è decisamente alto (il che suggerisce che uno degli indizi che dovremmo vedere nel caso in cui l’ipotesi della stagnazione secolare fosse vera non è presente).

In secondo luogo non è vero, per rispondere ad una delle considerazioni di Fischer, che la rivoluzione IT non abbia portato ad un aumento della produttività (!) e che il capitale impiegato (e quindi domandato) per le attività ad alta intensità tecnologica sia poco: se i nuovi business hanno bassa intensità di capitale, resta molta economia più “tradizionale” e necessariamente capital intensive; al più è rilevante la prospettiva di una economia meno labour intensive, ma al contempo cresce la necessità di formazione per la gestione di nuovi strumenti e tecnologie e quindi di investimenti in human capital di cui le produzioni avranno una maggiore “intensità”; anche questa, un’asserzione che risulta essere confermata da dati (fonte: OECD):

In sostanza, gli investimenti non diminuiscono di importanza, ma cambia il tipo di investimento, eventualmente. La stagnazione secolare, insomma, sembra essere una ipotesi che non trova riscontro nella realtà; perlomeno non nell’area euro (come dimostrato anche da altri studi più complessi). Ma i tassi di interesse, allo stesso modo, sono molto bassi. Come mai? Di questo ne parleremo, eventualmente, in un altro articolo. Stay tuned!

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