Economia, Scienze economiche

Made in Japan: il Giappone e la politica monetaria

Il Giappone ha una propria banca centrale, Bank of Japan o BoJ, che si occupa della gestione della politica monetaria del paese. Spesso si sente che BoJ può acquistare direttamente i titoli di stato per finanziare la spesa pubblica, cosa che invece l’Italia non può fare perché ha ceduto sovranità monetaria all’Europa e non ha più la facoltà di sostenere il proprio debito. Ma siamo davvero sicuri che funzioni così, oppure siamo fuorviati dalle solite semplici dicerie infondate? In questo secondo articolo della serie ci occuperemo di confrontare ed analizzare le politiche monetarie che hanno caratterizzato questi due paesi, individuando quelle che sono le principali differenze ed i punti di contatto delle due strategie.

Per prima cosa, come abbiamo già introdotto, la politica monetaria in Giappone è gestita dalla Bank of Japan: essa, come tutte le altre principali banche centrali delle nazioni sviluppate, ha come mandato principale quello della stabilità dei prezzi. Come spiegato dal sito della banca centrale stessa, infatti,

“La stabilità dei prezzi è importante perché fornisce le basi per l’attività economica della nazione. In un’economia di mercato, gli individui e le imprese decidono se consumare o investire, in base ai prezzi di beni e servizi. Quando i prezzi fluttuano, gli individui e le imprese hanno difficoltà a prendere decisioni appropriate in materia di consumi e investimenti, e questo può ostacolare l’allocazione efficiente delle risorse nell’economia. I prezzi instabili possono anche distorcere la distribuzione del reddito”.

La banca centrale giapponese, quindi, al pari delle sue controparti europee ed americane non ha come obiettivo altro se non la stabilità dei prezzi: questo perché un qualsiasi “commitment” della BoJ diverso da quello indicato nel suo mandato innescherebbe delle aspettative inflazionistiche negli operatori economici, che quindi si adatterebbero di conseguenza e alimenterebbero il circolo vizioso. La credibilità è il più importante punto di forza per una banca centrale. Fintanto che la banca centrale giapponese, così come la ECB e la FED, sarà credibile nel mantenere saldo il mandato (inteso come una variazione di due punti percentuali dell’indice dei prezzi al consumo) non si genereranno delle aspettative inflazionistiche da parte degli operatori economici. Tutto questo, nonostante il grande ammontare di offerta di moneta nel sistema. (nel grafico seguente intesa come aggregato monetario M2)

Guardare i valori assoluti, tuttavia, potrebbe essere fuorviante: molto più corretto sarebbe, in verità, osservare le variazioni percentuali quali vero proxy della conduzione della politica monetaria:

Come possiamo vedere, il trend della politica monetaria giapponese è stato discendente per un lungo lasso di tempo e – ad oggi – si è mantenuto basso e stabile. Questo trend, unitamente alle scarse aspettative di inflazione e ad altri fattori strutturali (di cui parleremo nel prossimo post), è coerente con un tasso di inflazione basso .

Abbiamo quindi smontato il primo dei miti che spesso circondano la politica monetaria giapponese: essa sarebbe – nelle intenzioni di chi impiega una retorica falsa come argomentazione– un esempio di come la conduzione della politica monetaria nipponica sia molto “esuberante”; nella realtà, essa è molto più “tradizionale” rispetto a quanto millantato.

L’aver smontato questo primo punto ci permette di introdurre la bufala principe (anzi, regina) riguardante il Giappone: il fatto che esso, dal momento che ha una banca centrale “sovrana”, può finanziare le sue manovre di politica fiscale tramite la monetizzazione del debito. Come spiega il prof. Tommaso Monacelli , tuttavia, ciò è scorretto e non rappresenta la realtà. Proprio perché le aspettative circa il comportamento della banca centrale sono una variabile cruciale nella determinazione del livello generale dei prezzi, un comportamento teso alla monetizzazione del debito minerebbe l’indipendenza e la credibilità del mandato della banca centrale, infatti:

“Immaginiamo una banca centrale che si impegni oggi ad acquistare ogni nuova emissione di debito dello stato. Così facendo, rinuncia completamente a gestire la quantità di moneta emessa nel sistema economico. Gli agenti capirebbero facilmente che la banca centrale non avrebbe l’autonomia operativa, ad esempio, per contrarre la quantità di moneta in circolazione quando l’economia esibisse spinte inflazionistiche. Quindi, nel regime di finanziamento monetario, non solo la banca centrale alimenterebbe l’effetto inflazionistico di maggiore spesa pubblica, ma quell’effetto verrebbe amplificato dal lievitare delle aspettative di inflazione”.

Come Monacelli stesso scrive, le operazioni di quantitative easing portate avanti dalla BoJ (così come da BCE e FED) sono:

“cosa ben diversa dal finanziamento monetario del debito. Mentre il secondo consiste in un impegno permanente ad acquistare i titoli di stato emessi dallo stato (e a tenerli sul proprio bilancio), il primo ha per costruzione una natura temporanea. Nessuna banca centrale che abbia operato con il QE negli ultimi anni ha mai segnalato, in alcun modo, che i titoli di stato acquistati sarebbero stati mantenuti sul bilancio in via permanente. È un aspetto cruciale, eppure sempre ignorato nel dibattito comune. Non è un caso che la Bce non abbia mai preso alcun vincolo ad acquistare titoli di stato dei paesi europei precludendosi la possibilità di rivenderli (seppur gradualmente) in futuro. In altre parole, la banca centrale utilizza il QE come strumento non convenzionale di politica monetaria in un quadro di piena autonomia dalla politica fiscale. Autonomia, cioè, di decidere in futuro di rivendere quei titoli per regolare la massa monetaria in circolazione quando l’inflazione dovesse ricominciare a crescere. La stessa cosa vale per il Giappone, spesso indicato come esempio virtuoso in cui la banca centrale sta acquistando quote crescenti del debito pubblico”.

La chiave di volta del perché non si sta parlando di una monetizzazione del debito né nel caso della BoJ né del caso di BCE e FED è quindi molto semplice: tutte e tre le banche centrali hanno la facoltà di non acquistare e quella di poter rivendere i titoli di Stato, proprio in virtù dell’indipendenza che – da statuto – le contraddistingue oramai da molti anni.

Infine, è importante sottolineare come esista una tendenza delle banche centrali alla convergenza delle politiche monetarie impiegate. Infatti, non esistono sostanziali differenze tra le policy delle banche centrali, questo è indicatore di come il modello giapponese non sia migliore di quello europeo in quanto sostanzialmente si fondano sugli stessi principi. In sintesi, la politica monetaria di Italia e Giappone, negli ultimi anni, è stata allineata. Questo è riscontrabile anche osservando i bilanci della ECB e della BoJ. Pertanto, la bufala della monetizzazione del debito sembra essere smontata da logica, fatti e realtà. 

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