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Materie prime: un ritorno agli anni Settanta?

La recente crisi in Ucraina ha fatto tornare alla ribalta il tema delle materie prime; soprattutto dopo gli aumenti di prezzo che queste hanno visto nelle ultime settimane. Una situazione analoga si è verificata negli Anni Settanta durante la crisi petrolifera. Quello che stiamo vivendo è un “Ritorno al futuro”? E se sì, come possiamo difenderci? Ne parliamo nell’articolo di oggi.

Materie prime: come negli anni Settanta?

Per capire se quello che stiamo vivendo è un “revival economico “degli anni di Jimi Hendrix e dei Pink Floyd facciamo riferimento all’analisi di Massimo Lombardini pubblicata su ISPI; rivista italiana che si occupa di geopolitica ed economia internazionale.

Pericolose analogie…

Lombardini sostiene che vi sono molte analogie tra la crisi energetica degli Anni Settanta e quella che, in prospettiva, potrebbe verificarsi oggi; specie per modalità di svolgimento e caratteristiche contingenti.

Come allora, anche oggi l’Europa dipende per la maggior parte del fabbisogno energetico da un unico fornitore: all’epoca era l’OPEC (cartello oligopolistico formato dai Paesi arabi) mentre oggi a fare la parte del monopolista è la Russia di Putin, dalla quale dipendiamo per circa il 50% del fabbisogno energetico. Oggi come allora, inoltre, la crisi energetica si verificò a seguito di una guerra; che in quel caso era in Medio Oriente (la Guerra dello Yom-Kippur) mentre oggi è quella in Ucraina. In quegli anni, poi, ci fu una rivoluzione (in Iran, nel 1979-1980); fatto, questo, che fece passare il prezzo del petrolio da 12 a 40 dollari al barile.

Insomma, sia nel caso della crisi energetica degli anni Settanta sia nel caso odierno abbiamo a che fare con una crisi energetica originatasi a seguito di un conflitto; che si va ad unire ad una scarsa capacità di diversificazione delle fonti di approvvigionamento dell’energia.

…e qualche soluzione

Il passato, però, non ci serve solo per capire le analogie tra le due situazioni; in realtà può fornirci anche qualche soluzione. In primo luogo, in relazione all’efficienza energetica.

Infatti, come riporta Lombardini,

Negli anni ‘70 i Paesi consumatori implementarono politiche di efficienza energetica e di sviluppo di fonti alternative al petrolio che in quel periodo copriva la metà del fabbisogno energetico totale.

L’aumento del prezzo del petrolio, in quel caso, fece passare molti Stati all’utilizzo di energia elettrica prodotta da centrali a gas ed a carbone. Grazie a queste misure, unite ad un programma di efficientamento energetico, permisero agli Stati consumatori di petrolio di ridurre il consumo da circa 65 milioni di barili giornalieri del 1970 a 57 milioni nel 1983; e complice una maggiore esplorazione (da parte dei privati) di pozzi non situati in Paesi OPEC, il petrolio tornò ad avere prezzi minori (circa 10 dollari/barile nel 1986).

Parola chiave: differenziazione

Oggi queste soluzioni, per diverse ragioni, non possono essere più implementate. In primo luogo per un problema di utilizzabilità delle riserve. Infatti, nonostante le riserve di petrolio siano ampie, sono possedute da Paesi o aderenti all’OPEC, o lontani dall’Europa o a noi ostili (ad esempio la Russia).

Lo stesso si può dire di carbone e gas (i cui prezzi stanno aumentando). La soluzione, come sottolinea Lombardini, non risiede in una “pillola magica”, un “silver bullet” che ci permette di risolvere la situazione. La parola chiave, allora come oggi, rimane la differenziazione; come anche ribadito nel documento dell’ “International Energy Agency”. Cosa fare quindi?

In primo luogo puntare sulla differenziazione delle fonti, cercando di compensare le mancanze di breve periodo da quella fonte ricercandone altre. Per dare una misura di come ciò possa essere utile, Lombardini riporta correttamente che oggi

Ulteriori approvvigionamenti sono possibili tramite altri gasdotti come il Greenstream dalla Libia, il TEMP dal nord Europa, il TAP proveniente dal Caspio e i tre terminali di rigassificazione.

Inoltre, bisognerebbe

creare scorte strategiche di gas a livello europeo come per gli stock petroliferi. Negli anni ‘70, l’Agenzia Internazionale dell’Energia e la Comunità europea crearono stock petroliferi strategici per coprire 90 giorni di importazione di greggio in caso di interruzione degli approvvigionamenti.

Questo, nel breve periodo, per cercare di abbassare i prezzi. Allo stesso tempo, per evitare degli impatti eccessivi sulle bollette dei meno abbienti, una misura fiscale volta a tassare gli extraprofitti delle imprese energetiche ed utilizzare il ricavato per abbassare le bollette dei consumatori al di sotto di una certa fascia di reddito.

Nel lungo periodo, la strategia ottimale è puntare su un mix energetico; in cui devono essere presenti sicuramente delle fonti rinnovabili (come il solare, l’eolico o il biogas), ma che non può prescindere dalla massimizzazione dell’output di energia elettrica derivante dal nucleare. Inoltre, oltre a produrre l’energia, organizzare un sistema di distribuzione (magari a livello europeo) tale che gli sprechi siano minimizzati e i costi per l’utente finale abbassati.

Materie prime: non esiste una “pillola magica”

Le crisi sono state, nel corso del tempo, delle occasioni da cui può nascere qualcosa di positivo; quella delle materie prime non ha fatto (e fa) eccezione. Sono, però, anche delle occasioni in cui le persone tendono a ricercare soluzioni semplici, di breve periodo e poco lungimiranti; spinte dall’urgenza di risolvere problemi. L’energia però, come qualsiasi altra questione economica, non prevede le “pillole magiche”: a problemi complessi non possono esistere risposte semplici. Occorre pragmatismo, razionalità e volontà politica per risolverli; al di là di ideologia, populismo e facile demagogia.

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