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NPL: come siamo messi?

Di recente, con il ritorno agli onori della cronaca del caso Monte dei Paschi di Siena, si è tornato incidentalmente a parlare di “Crediti deteriorati” o “Non Performing Loans”. Cosa sono? Quali conseguenze hanno? Ne parleremo in questo articolo.

L’argomento crediti inesigibili/deteriorati è parte integrante per capire lo stato di salute delle banche. Quindi, come siamo messi nelle nostre lande? Innanzitutto, prendiamo delle definizioni ufficiali degli stessi, allo scopo di avere un common ground su cui operare in modo semplice e veloce. La Banca d’Italia definisce “crediti deteriorati” in tre modi diversi:

Che dire, quindi, degli NPL tricolore? La storia dei NPLs italiani comincia dopo la crisi finanziaria del 2008, la quale – tra le molte conseguenze – ha avuto le crescenti difficoltà che le imprese, soprattutto di piccola dimensione, e le famiglie hanno avuto nel far fronte ai debiticontratti negli anni precedenti la crisi. Come riporta un articolo su “La voce”, infatti, stando ai dati relativi a gennaio 2013 le sofferenze, al lordo delle svalutazioni e dei passaggi a perdita eventualmente effettuati, ammontavano all’epoca ad oltre 125 miliardi di euro, in crescita del 17 per cento rispetto a un anno prima (circa 20 miliardi in più in valore assoluto) rispetto all’anno di riferimento (2013). Questo viene illustrato in maniera molto chiara in questo grafico:

Il grafico riportato precedentemente è stato ottenuto da un’elaborazione del CER (Centro Europa Ricerche) sui dati dell’osservatorio Avantage Reply, il quale raccoglie i dati di bilancio di una ventina di gruppi bancari italiani che rappresentano – in aggregato – circa l’80% del totale del credito erogato. Si vede molto bene che dal primo trimestre del 2009 al terzo trimestre del 2012, l’incidenza dei crediti deteriorati è raddoppiata per tutte le tipologie di crediti deteriorati, sia per quanto riguarda le sofferenze, sia per quanto riguarda gli incagli, sia per quanto riguarda i crediti ristrutturati e quello scaduti. Tutto questo, come lo stesso articolo mostra nel grafico seguente, con le logiche conseguenze di contrazione del credito verso gli operatori economici.

Come lo stesso articolo mostra, in questo periodo di analisi considerato,

“ Per evidenziare la relazione tra qualità del credito e sua dinamica è utile distinguere il campione di banche esaminato in tre diverse categorie:

Dal grafico si rileva come per le banche di grandi dimensioni la relazione tra crediti deteriorati e crescita degli impieghi sia negativa e statisticamente significativa, mentre per le altre due categorie di banche la relazione, seppur positiva, non risulta essere robusta da un punto di vista statistico. In altri termini, all’aumentare dell’incidenza dei crediti in stato di patologia, più o meno grave, queste banche hanno reagito, nel periodo considerato, riducendo l’erogazione di finanziamenti”.

Come commenta molto lucidamente l’articolo,

“Una possibile spiegazione di questa diversa reazione può essere ricercata, da un lato, nella differente dotazione di capitale tra le tipologie di banche considerate: se i gruppi maggiori hanno infatti evidenziato un Tier1 ratio, nel periodo compreso tra l’inizio del 2009 e il terzo trimestre del 2012, pari in media al 9,4 per cento, ottenuto anche grazie al minor assorbimento di capitale derivante dal semplice utilizzo dei modelli Irb, i gruppi grandi non Irb si sono fermati all’8,2 per cento. Rispetto ai gruppi medio-piccoli il divario di capitale è invece meno marcato (Tier1 ratio medio dell’8,4 per cento), ma quest’ultima tipologia di banca, avendo un potenziale impatto sistemico ben più contenuto data la ridotta dimensione, risulta essere meno pressato dalla vigilanza bancaria nazionale ed europea”.

La storia dei NPL non si ferma – però – nel 2012. Infatti, se prendiamo i dati dei NPL tra il 2013 3 il 2015, vediamo come questi hanno raggiunto proprio nel 2015 il loro picco.

Come riporta un articolo del Sole 24 Ore sul tema, infatti:

“Il grafico mostra la crescita delle sofferenze bancarie, sia lorde che nette. Queste ultime sono passate da 64.196 milioni di euro del marzo 2013 a 80.912 dello stesso mese di quest’anno. Parimenti la percentuale di queste sugli impieghi è cresciuta nel medesimo periodo dal 3.36% al 4.42%2.

Nel 2015, al picco della crisi, gli Npl in Italia ammontavano a circa 341 miliardi di euro; con un valore percentuale rispetto al totale dei crediti pari a circa il 16,08%: un valore triplo rispetto al 2008, prima dello scoppio della crisi finanziaria globale, restituendo una situazione di salute del sistema bancario italiano alquanto precaria.

Nel 2016, a seguito delle soluzioni cui volenti o nolenti sono state costrette le banche dal regolatore, poco cambiò: in quell’anno si è verificata una riduzione di appena 16 miliardi e le sofferenze rimasero praticamente invariate); nello stesso anno, i portafogli ceduti ebbero appena il valore di 17 miliardi. Il 2017 rappresenta l’anno della “svolta”. Se le nel 2015 le banche italiane hanno ceduto ad altri un ammontare di Npl pari a 17,3 miliardi (che sono saliti a quota 36 miliardi nel 2016); già nei primi mesi del 2017 le banche italiane stavano trattando per liberarsi di altri 39,7 miliardi di crediti inesigibili. Questo viene illustrato in modo abbastanza chiaro da questo grafico

A fine 2017sono stati 72 i miliardi di portafogli Npl ceduti, quindi si è potuto parlare di un piccolo risanamento, con un calo dei crediti inesigibili sul totale pari al 14,5% nel 2017, un 3% in meno rispetto a dicembre 2016, grazie alla summenzionata cessione di crediti da parte di Unicredit o delle banche venete. Nonostante questo, nel 2017 eravamo secondi per Default rate (proporzione di debitori che non riescono a pagare tutto o parte del proprio debito sul totale dei creditori) in Europa(11,44, dopo la Grecia); un dato che comunque doveva essere tenuto in considerazione. Nel 2018 e nel 2019 si verifica una sostanziale riduzione dei NPL, tanto che come illustra PWC Italia:

“Le banche italiane, in risposta a pressioni provenienti tanto dal legislatore quanto dai mercati, hanno di fatto dimezzato lo stock di ‘non performing loans’ da 135 bilioni di euro a nel 2019 contro i 314 del 2015; ed allo stesso tempo hanno rimesso in sesto la loro piattaforma dei restanti Non Performing Loans ed implementato una nuova struttura organizzativa; in maniera tale che – nella prossima crisi – esse possano gestire il problema dei Non Performing Loans con maggiore resilienza”.

Nel 2018, in particolare, come riporta questo articolo,

“A giugno del 2018, a livello europeo, (includendo anche l’Islanda e la Norvegia in questo caso) gli Npl nei bilanci bancari sono diminuiti di 106 miliardi e 900 milioni in soli 9 mesi: il 12,5%. E di questi 106,9 miliardi di decremento ben 37, circa un terzo, sono costituiti dalla diminuzione dei debiti deteriorati italiani che sono passati da 196 a 159 miliardi tra settembre 2017 e giugno 2018, per un calo del 18,9%, quindi superiore alla media del 12,5%”.

La situazione odierna, considerando il periodo caratterizzato da forte incertezza derivante dalla pandemia, sembra essere nuovamente cambiata. Infatti, come riporta questo articolo in merito, ad oggi solo il 19,6% dei crediti deteriorati viene recuperato e stando ai dati di settembre 2020 (terzo trimestre) sebbene non vi sia un particolare aumento dei crediti non deteriorati è anche vero che i soli NPL italiani rappresentano ben il 19,2% di quelli europei (grandezza che – come riporta l’articolo appena citato – nel 2019, era scesa a fine anno al 6,7% del totale; anche se – come si vede dalla mappa in quell’articolo – si trattava comunque di un dato molto superiore di quello medio europeo del 2,7%).

Particolare preoccupazione delle autorità di vigilanza (come l’EBA, che ha pubblicato un apposito report in merito), inoltre, viene destata dall’aumento dei crediti deteriorati di secondo livello (come riportato in questo articolo); i quali rappresentano – essendo dei crediti che si discostano dai normali parametri di solvibilità rispetto ai crediti di primo livello (ossia di prima emissione) – una sorta di “anticamera” dei Non Performing. Per dare un’idea del fenomeno di cui stiamo parlando, quantitativamente si tratta di 1200 miliardi di euro, una cifra che rappresenta un incremento del 23% rispetto al giugno di due anni fa, quando nel complesso questa tipologia di crediti rappresentava solo il 6,9% del totale. C’è da dire – come fa notare lo stesso articolo, che riporta il pensiero dell’European Banking Authority – che

“su questo fenomeno abbiano influenza le varie moratorie creditizie concesse nei Paesi come misura di mitigazione delle conseguenze economiche della pandemia.  In Italia i crediti coinvolti da una moratoria, ovvero con un’estensione della scadenza del debito o una sospensione delle rate, ammontavano a più di 150 miliardi a fine giugno 2020, ovvero poco più del 10%. Ancora di più in Grecia o Romania. Quasi zero in Germania. I crediti in moratoria non sono normalmente classificabili come deterioramenti, ma solo se tale moratoria non corrisponde alle linee guida dell’EBA. Qualche volta è accaduto, come l’EBA stesso ammette, e alcune moratorie anche troppo generose a suo dire sono da considerare come la causa dello scivolamento dei crediti nella categoria di rischio”.

Anche alla luce dei possibili sviluppi del quadro macroeconomico nella fase post-COVID, che grazie ai vaccini sembra sempre di più diventare una concreta realtà, occorre affrontare con pragmatismo il problema dei Non Performing Loans, i quali sono molto probabilmente destinati ad aumentare con il necessario (ma fino ad ora non occorso) ritiro delle misure di sostegno alle imprese. Una questione complessa da gestire con rapidità ed efficienza, per evitare che dalla inevitabile “potatura” e dal “fuoco controllato” dei rami secchi della nostra economia per lasciare spazio a nuove imprese più efficienti si passi – e ci si conceda la metafora agricola – prima ad una mietitrebbia e poi all’incendio.

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