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Energia nucleare: una fonte di cui abbiamo bisogno

Nuclear power plant with yellow field and big blue clouds

Ci sono delle cose l’opinione pubblica considera dei veri e propri “diavoli”: meno se ne parla (in modo sensato) e meglio è. Quando si parla di energia il nucleare è il principe (anzi il re, se non l’imperatore) dei luoghi comuni: non è sicuro, fa male e non è una fonte sostenibile. Saranno veri? Ne parliamo nell’articolo di oggi.

I dati, questi sconosciuti

Uno degli errori che si fanno quando si parla di energia nucleare è quello di parlare per “sentito dire”, per “luoghi comuni” e in modo irrazionale. Questo fatto pregiudica la qualità del dibattito che si sviluppa intorno ad una tematica molto importante ed interessante; per cui in questo articolo rovesceremo totalmente l’approccio e lasceremo parlare i numeri.

Il nucleare: tra le fonti di energia più sicure

Il mito principe, anzi, re che riguarda il nucleare verte sulla sua presunta scarsa sicurezza. I sostenitori (molto) accaniti di questo mito spesso citano i disastri di Chernobyl e Fukushima come esempi; esempi da cui deriva uno scarso supporto per questa fonte. Ma sono davvero degli esempi corretti? I numeri dicono altro.

Come mostra questi grafici di “Our World In Data”, infatti, i sostenitori di quella che potremmo chiamare “l’ipotesi Chernobyl” hanno ragione nel dire che le morti da esposizione a radiazioni sono molte; ma la realtà, al solito, è ben diversa.

Figura 1: Stima delle diverse morti da esposizione alle radiazioni per Chernobyl

La realtà è ben diversa. Infatti, ci sono delle cose che hanno giocato un ruolo determinante nel disastro di cui sopra.

In primo luogo, i reattori di Chernobyl non erano stati disegnati per affrontare un simile scenario. Ad esempio, il reattore RBMK impiegato in quell’occasione non aveva una struttura di contenimento, consentendo al materiale radioattivo di riversarsi nell’atmosfera.

In più, quel reattore impiegato non aveva un sistema di raffreddamento adeguato; fatto – questo – che ha contribuito al disastro di cui sentiamo parlare. In più, c’è da considerare il fattore umano: la risposta delle autorità sovietiche fu all’epoca poco solerte e trasparente; cosa – questa – che ha indubbiamente giocato un ruolo chiave.

E Fukushima? Se Chernobyl è il manuale di “cosa non fare durante una crisi nucleare”, Fukyshima è l’esempio di una corretta gestione della sicurezza.

Al contrario di Chernobyl, in quella centrale c’erano sia i giusti sistemi di raffreddamento sia dei reattori tecnicamente superiori, sia una risposta delle autorità più corretta. E la differenza, come possiamo vedere, è sensibile:

Figura 2: Le morti nell’incidente di Fukushima

In una revisione della risposta e degli impatti sulla salute a lungo termine di Fukushima, pubblicata da Michael Reich e Aya Goto (2015) sulla prestigiosa rivista “The Lancet”, gli autori osservano che:

nessuno è morto a causa dell’esposizione alle radiazioni e il Comitato Scientifico delle Nazioni Unite il rapporto Effects of Atomic Radiation nel 2013 ha dichiarato che non si prevede che saranno osservati cambiamenti sostanziali nelle future statistiche sul cancro attribuite all’esposizione alle radiazioni.

Insomma, il nucleare con le morti di Fukushima e Chernobyl c’entra ben poco. A farla da padrone sono l’errata gestione dell’emergenza, la scarsa tecnologia (e un pizzico di panico).

Ma c’è di più. In effetti, se andiamo a vedere bene i dati, scopriamo che (come mostra Our World In Data), il nucleare ha salvato piuttosto che distrutto vite. Non male, per l’energia più stigmatizzata del secolo, no?

Il nucleare è economicamente sostenibile

Una delle più grandi obiezioni all’energia nucleare è – spesso – il costo che serve per costruire le centrali.

La questione, tuttavia, è molto più complessa di così. Come mostra infatti la World Nuclear Association, possiamo individuare tre tipologie di costi connessi all’energia nucleare:

Nel 2017, la World Nuclear Association ha pubblicato un report in cui si evidenzia da un lato la forte incidenza dei costi fissi (come detto, il 60%) sul costo totale (ed in particolare i costi di costruzione); mentre dall’altro mostra come il periodo medio di costruzione di una centrale nucleare sia diminuito negli ultimi 15 anni. Nei paesi in cui sono stati mantenuti programmi di sviluppo continuo, i costi di capitale sono stati contenuti e, nel caso della Corea del Sud, addirittura ridotti. 

In media, quindi, i costi dell’ “energia blu” sono alti nella loro componente fissa ma relativamente bassi in termini di costi operativi; cosa questa che rende l’energia nucleare la fonte ideale che combina affidabilità, economicità ed efficienza.

C’è “troppo poco” uranio

Un’altra obiezione singolare che si sente contro il nucleare è la (supposta) scarsità di uranio.

L’obiezione in parola trascura il fatto che, in linea di principio, tutte le risorse sono scarse: se una risorsa fosse libera non avremmo il problema di economizzarla. Ma rispondiamo con i numeri a questa obiezione.

Come mostra questa tabella l’uranio è una risorsa tutto fuorché non disponibile:

Figura 3: da dove proviene l’uranio
Figura 4: la produzione cumulata di uranio

Le disponibilità di qualsiasi metallo (uranio incluso) si determinano sia dai costi di estrazione sia dai prezzi di mercato.

Ad esempio, attualmente né gli oceani né le rocce sono delle fonti di uranio sufficientemente redditizie; ma potrebbero esserlo se i prezzi dovessero aumentare sufficientemente. A dieci volte il prezzo attuale dell’uranio, l’acqua di mare, ad esempio, potrebbe diventare una potenziale fonte di grandi quantità di uranio.

Pertanto, qualsiasi previsione della disponibilità di qualsiasi minerale, compreso l’uranio, che si basano sugli attuali dati sui costi e sui prezzi, nonché sulle attuali conoscenze geologiche, si rivelerà probabilmente estremamente conservativa.

In più, con dei reattori che sono sempre più efficienti, la quantità di combustibile necessaria per unità di energia diminuisce. Senza contare, ovviamente le fonti secondarie (come scorte commerciali, scorte di armi nucleari, plutonio riciclato e uranio ritrattato, e ri-arricchimento delle scorte di uranio impoverito); fattori che contribuiscono ad aumentare la quantità di materiale fissile disponibile (il tutto senza contare un’altra importante fonte di materiale fissile disponibile in grandi quantità, cioè il torio).

Il nucleare è affidabile e fa bene all’ambiente

Nel corso degli ultimi anni la tematica ambientale ha acquisito sempre più importanza. La sfida degli esseri umani è stata quella di trovare una fonte di energia continuativa, affidabile, efficiente e poco inquinante.

Molti sforzi (con scarsi risultati) sono stati fatti con le rinnovabili. Queste fonti, infatti, sono sì a “emissioni zero” (ossia non emettono CO2), ma soffrono di molti problemi di affidabilità (vedi rapporto GSE e TERNA) e – a volte – di impatto ambientale.

Pensiamo all’energia eolica (non sempre presente, o perché il luogo non è sufficientemente ventoso o perché il vento non soffia quando serve). Oppure al solare, che oltre a ciò, per poter essere utilizzato ha bisogno di pannelli la cui produzione genera molti rifiuti che i nostri sistemi di smaltimento non sono (per ora) capaci di gestire. Il tutto per scarsi guadagni energetici. Se valutiamo, infatti, il rendimento globale di un impianto costituito da pannelli e inverter, supponendo per i primi un rendimento del 20% e del 90% per il secondo, si avrebbe complessivamente un rendimento di appena il 18%.

In altre parole, circa l’80% dell’energia solare non può essere convertita in elettricità.

E il nucleare? Questa fonte di energia, come le rinnovabili, non emette gas serra, viene prodotta da centrali che hanno una vita operativa che oscilla tra i 40 ed i 70 anni; ed è altamente efficiente, potendo operare al 93% del capacity factor (il rapporto tra energia effettivamente generata ed energia potenzialmente generabile).

E le scorie?

Non tutto è oro quel che luccica, si sa. Anche il nucleare ha i suoi “lati negativi” e “side effects” che non possono essere ignorati. Le scorie radioattive sono un esempio di ciò. Ci sono degli elementi che, tuttavia, ci fanno essere ottimisti anche su questo.

Ad esempio, il fatto che le scorie nucleari sono solide, decadono nel tempo e vengono stoccate sottoterra con dei contenitori resistenti ad eventi molto avversi (come terremoti, erosione ed attentati); cosa che non avviene con, ad esempio, l’arsenico prodotto dall’industria mineraria (che invece è liquido, deve essere congelato e stoccato in semplici barili e soprattutto rimane tossico per molto tempo).

Oppure, ancora, il fatto che esistono dei reattori detti “Travelling Wave Reactors” che possono riciclare le scorie radioattive, rendendole molto meno pericolose (e più utili) di quel che si pensa.

Per non parlare del fatto che le attuali scorie sono a tal punto esigue in numero che, secondo alcune stime, tutte le scorie radioattive mondiali occuperebbero un’area di un campo da baseball.

In sintesi…

Ci sono quindi degli ottimi motivi per essere contrari all'”energia blu”? Scientificamente è difficile trovarne. Le bacchette magiche non esistono e il nucleare da solo non risolverà i nostri problemi energetici. Come disse molti anni fa il buon Roosevelt, “l’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa“; e se ci lasciamo sfuggire l’occasione che la scienza e la tecnica ci danno per poter salvare l’ambiente e ottenere degli enormi guadagni di produttività (che sappiamo essere influenzata dall’efficienza energetica), forse ci pentiremo essere arrivati tardi per un treno che difficilmente ripasserà.

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