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Per un fisco “quasi amico”. La proposta di F.M. Renne

Il tema della riforma del sistema fiscale italiano è tornato al centro del dibattito pubblico negli ultimi mesi, in particolare in seguito all’avvio delle audizioni in Commissione Finanze alla Camera.

In un articolo della scorsa settimana abbiamo esaminato alcune proposte di riforma fiscale, in particolare quelle del Prof. Dario Stevanato, dell’ex presidente della Consob Giuseppe Vegas e del Prof. Carlo Cottarelli; oggi invece illustriamo i punti cardine della proposta di riforma fiscale di Francesco M. Renne, commercialista, ragioniere e revisore fiscale, faculty member presso la Cuoa Business School ed esperto in fiscalità della finanza e in tematiche societarie e finanziarie.

Se c’è da tempo un consenso di fondo rispetto alla necessità di riformare l’attuale sistema di tassazione, inefficiente, iniquo e problematico sotto svariati profili, occorre però prima di tutto chiarire quale obiettivo ci si pone in primis nell’implementare tale riforma. La domanda non è quindi solo quale riforma fiscale, ma anche: quale obiettivo si intende raggiungere attraverso la riforma? Inoltre, sull’obiettivo da raggiungere, data la rilevanza del tema fiscale, è bene che vi sia altresì un dibattito pubblico quanto più trasparente, partecipato ma anche informato. Ad ogni modo, nel dibattito corrente sul tema svariate sono le proposte prese in considerazione -cash flow tax, flat tax, digital tax, riforma dell’IRPEF…- eppure talvolta sembrerebbe mancare proprio una visione d’insieme organica e coerente, con una prospettiva di lungo termine, che faccia da sfondo alle singole proposte. Eppure, politica economica e politica fiscale non sono affatto slegate tra di loro. Secondo Renne, la leva fiscale può infatti essere intesa essa stessa come uno strumento di politica economica, che favorisca il raggiungimento di determinati obiettivi di fondo che si intendono implementare. Ad esempio, la fiscalità dovrebbe volgere a favorire e non ostacolare la crescita economica, nella dimensione imprenditoriale (lavoro), di risparmio (finanza) e di consumi (famiglie). Occorre dunque avere una visione d’insieme del contesto in cui si intende operare e chiarire gli obiettivi che si ritiene importante perseguire.

Una riforma fiscale dovrebbe porsi quattro macro obiettivi principali: dovrebbe essere ambiziosa, ossia volta a ridurre complessivamente l’eccessiva pressione fiscale e contributiva, fissando anche un “tetto massimo”  di pressione tributaria in percentuale sul PIL; equilibrata, ovvero dovrebbe garantire la sostenibilità dei conti pubblici e incentivare la crescita economica; razionale, considerando il riordino della spesa pubblica come l’obiettivo conseguente alla riforma stessa, e, in particolare, mirando ad accrescerne la qualità della spesa piuttosto che la quantità; infine, la riforma dovrebbe essere equitativa, prefiggendosi cioè non tanto  l’obiettivo di un contrasto ex post dell’evasione fiscale, bensì mirando a strutturare un sistema fiscale sostenibile, equo e che prevenga esso stesso l’evasione, agendo quindi in partenza. 

Tenendo in considerazione i quattro obiettivi descritti, si considerano ora cinque principi applicativi, di cui tre principi immediati – 1) riequilibrare il rapporto fisco-contribuente (principio di diritto); 2) sostenere la ripartenza e la ricrescita economica (principio di necessarietà); 3) solidarietà sostenibile (principio di equità) —   e due principi di medio-lungo periodo – 4) riordinare il peso dell’imposizione fiscale (principio di proporzionalità); 5) razionalizzazione burocratica e revisione del sistema sanzionatorio (principio di efficienza). A tali principi corrispondono otto azioni da implementare, ispirate a una duplice necessità: riequilibrare il sistema fiscale, rendendolo efficiente, e ripristinare l’equità tra fisco e contribuente.

  1. Introdurre un’Authority terza di Garanzia fiscale. Questa proposta deriva, da un lato, dalla necessità di rendere pienamente operativo lo Statuto dei Diritti del Contribuente, i cui principi – tra cui irretroattività delle norme e delle sanzioni, i tempi di garanzia della difesa, buonafede- sono stati ampiamente disattesi negli anni, tanto dall’Amministrazione statale quanto dal Legislatore stesso; dall’altro, dalla considerazione dell’esistenza di un’eccessiva concentrazione di funzioni nei due enti Agenzia delle Entrate e  Ministero delle Finanze. In questo binomio infatti :” coesistono funzioni di (proposte di) normazione primaria (quando non proprio di scrittura per il Governo), di normazione secondaria, di interpretazione delle norme (che i due Enti hanno spesso contribuito a scrivere), di accertamento verso i contribuenti, di esercizio della gradualità dell’irrogazione delle sanzioni, di riscossione coattiva, di concessione di mediazioni, proposte di adesione e transazione concordataria del debito tributario e – ultimo, ma non ultimo – di coordinamento dei Garanti del Contribuente”. È evidente la scarsa trasparenza che deriva dall’eccessiva concentrazione di funzioni in questi Enti, in una quasi totale assenza di separazione dei poteri. Sarebbe opportuno separare le funzioni d’interpretazione delle norme, in capo all’AdE, da quelle accertatrici dell’imposta e di riscossione. Le prime potrebbero essere attribuite ad un’Authority terza, composta da funzionari ministeriali come da rappresentanti del mondo professionale e accademico, che garantisca altresì il pieno rispetto delle tutele previste dallo Statuto del Contribuente.
  2. Introdurre un premio fiscale alla crescita condizionato al verificarsi di eventi nella vita aziendale -tipici dei processi di crescita dimensionale delle imprese- quali: operazioni di fusioni e aggregazioni tra aziende, operazioni di apertura del capitale al private equity o ai mercati regolamentati dei capitali, accesso all’istituendo istituto dei “finanziamenti attestati” di lungo termine. Il premio alla crescita consiste qui in un sistema a doppia aliquota sui redditi d’impresa (dual income tax) di cui un’aliquota agevolata che si applicherebbe sul reddito incrementale (rispetto al dato pre-operazione) al realizzarsi di una delle condizioni menzionate.
  3. Introdurre un principio di postergazione del debito tributario, favorendo la tutela dell’occupazione durante le crisi d’impresa. Si tratta di associare a tutti i percorsi di risanamento che garantiscano nel piano la tutela dell’occupazione una postergazione (rinvio) del debito tributario. Così facendo si perseguirebbe un triplice obiettivo: il fisco fa “un passo indietro” a favore del costo del lavoro, ma in prospettiva ottiene un recupero del pagamento delle imposte, il mantenimento in vita dell’azienda e dei posti di lavoro.
  4. Introdurre un fondo di solidarietà pubblico e privato che tuteli le fasce di lavoro non garantite. Tale fondo, preposto all’erogazione di sussidi per i lavoratori dipendenti e/o autonomi meno economicamente garantiti nel corso di una crisi, sarebbe finanziato tramite contributi volontari da parte di soggetti privati (come lavoratori del settore pubblico, imprese “sane” ecc.) i quali fruirebbero di una deduzione fiscale in cambio. Più di una patrimoniale fiscale, basata su un impianto coercitivo, questa proposta concilia un vantaggio per chi contribuisce al finanziamento del fondo con la finalità solidaristica, evitando l’emergere di una frattura tra soggetti garantiti e meno garantiti.
  5. Riformare l’Irpef, in particolare attraverso una revisione delle aliquote intermedie e un’espansione degli scaglioni, al fine di ridurre il cuneo fiscale sui redditi medio-bassi.
  6. Revisione delle tax expenditures. La maggior parte delle agevolazioni fiscali settoriali attualmente esistenti, così come riporta la stessa Corte dei Conti, non sono in grado di raggiungere gli stessi scopi per cui sono state istituite, ovvero sono inefficaci e pertanto andrebbero razionate; tramite il risparmio ottenuto dall’eliminazione di parte delle spese fiscali, è possibile intervenire appunto per ridurre le aliquote fiscali. Sebbene dal punto di vista del singolo contribuente i vantaggi non sarebbero percepiti in modo sostanziale, a livello complessivo si otterrebbe un sistema sostanzialmente migliore in termini di equità, come anche un ridotto cuneo fiscale.
  7. Digitalizzare la macchina fiscale, alleggerendo il più possibile gli oneri burocratici -allo stato attuale davvero eccessivi- tanto per le imprese quanto per il contribuente.
  8. Migliorare il sistema sanzionatorio tributario, favorendo le regolarizzazioni spontanee. In particolare, sarebbe da preferire un sistema di sanzioni crescenti al crescere della gravità del comportamento o dell’ampiezza del ritardo nell’esecuzione dell’adempimento.

Due considerazioni risultano particolarmente interessanti all’interno della proposta di Renne. La prima è quella relativa alle modalità di contrasto all’evasione fiscale e contributiva. Quest’ultima, che com’è noto rappresenta un fenomeno endemico nel nostro paese, non costituisce solo un problema per il bilancio statale, ma -un aspetto non sempre chiaro nel dibattito pubblico- genera delle distorsioni nella concorrenza tra le imprese, oltre ad avere effetti indesiderabili in termini di equità tra i contribuenti. Pertanto un efficace intervento di contrasto, che consenta di generare una maggiore equità sostanziale, è certamente doveroso. Tuttavia, bisognerebbe evitare che tale intervento implichi anche un’ancora maggiore burocrazia o carico tributario che graverebbe ancora di più sul contribuente stesso. Anche la lotta all’evasione fiscale deve evitare di generare ulteriori distorsioni e porsi anch’essa l’obiettivo di migliorare il rapporto fisco-contribuente.

Infine, un’altra considerazione riguarda il legame tra sistema fiscale e conti pubblici. Secondo Renne: “dovremmo passare da un utilizzo della leva fiscale come strumento per riequilibrare i conti pubblici – ciò che è avvenuto in Italia dagli anni 90’ in poi- a un riequilibrio dei conti pubblici per rendere più equa la leva fiscale. È il bilancio pubblico, dunque l’economia in senso lato che deve riorientarsi, perché altrimenti non esiste spazio per riequilibrare la macchina fiscale. Esiste solo spazio per fare sconti a qualcuno o qualcun altro, a seconda degli elettorati di riferimento […] Una riduzione della pressione tributaria serve, ma per fare quello serve mettere in ordine i conti”.

Una visione non parziale, ma appunto di ampio respiro, è fondamentale specialmente nel particolare momento in cui si trova l’economia italiana, con un rapporto debito/PIL oltre il 160% e una ripartenza economica da affrontare.

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