Economia, Scienze economiche

PIL nominale: un nuovo target per la politica monetaria?

La politica monetaria, si sa, è affare complesso. Tuttavia sappiamo, dalle molte ricerche, che essa deve essere condotta seguendo delle regole ben precise, tra cui la più famosa è da molto tempo il cosiddetto “Inflation targeting”: la banca centrale fissa un certo target di inflazione e manovra le variabili strumentali (ad esempio, i tassi di interesse) in accordo con questo target.

La cosiddetta “funzione di reazione” della banca centrale è data dalla famosa “regola di Taylor, illustrata come segue:

Figura 1: l’equazione di Taylor

Questa equazione mostra che la banca centrale dovrebbe alzare i tassi di interesse quando l’output gap e/o l’inflation gap sono positivi e abbassarli quando questi gap sono negativi.

Inflation targeting: i problemi

Fin dal suo primo sviluppo nel 1993, questa regola è molto popolare nei board delle autorità monetarie: fornisce una guida chiara sulle prossime “mosse” di politica monetaria.

Non mancano, tuttavia, i problemi. Il principale è che questa equazione conduce a risultati soddisfacenti con l’attuale livello di inflazione se il tasso di interesse naturale è abbastanza alto.

Assumendo un tasso nominale del 4% (un livello molto comune negli anni Novanta) è facile capire che un tasso di inflazione al 2% era giustificato (e giustificabile) con questa regola.

Infatti, se il tasso di interesse naturale all’epoca era circa al due percento ed i tassi nominali erano superiori, in questo contesto lo spazio per delle manovre di politica espansiva era maggiore; e un’inflazione pari al due percento era coerente con un tasso di interesse naturale di uguale misura.

La caduta del tasso di interesse naturale da qualche anno a questa parte, tuttavia, ha fatto scendere anche il tasso di inflazione; e con esso anche i tassi di policy.

Inoltre, Il limite dello “zero lower bound” è un ulteriore vincolo all’azione delle banche centrali, che hanno quindi fatto ricorso a nuovi strumenti.

Infine, un grande problema dell’inflation targeting è l’incapacità di questo approccio di distinguere un’inflazione (o il fenomeno inverso, la deflazione) da domanda (provocata, ad esempio, da politiche troppo espansive/restrittive) da quella da costi: questo pone grande incertezza sulla reazione delle banche centrali ad un aumento/diminuzione dell’inflazione.

La risposta delle banche centrali: le misure non convenzionali

La risposta delle autorità monetarie a queste difficoltà è stata mettere in piedi delle misure “non convenzionali”. Principalmente si tratta di acquisti di asset nei mercati secondari, effettuati per far ripartire il meccanismo del credito (e quindi l’inflazione) con delle “iniezioni di liquidità” nei mercati.

I risultati, tuttavia, sono stati deludenti, se comparati con l’entità degli stimoli.

Come vediamo da questa figura, nonostante l’aumento della base monetaria, l’offerta di moneta M3 (quella più legata all’inflazione) è rimasta sostanzialmente stabile; con una conseguente caduta del moltiplicatore monetario:

Figura 2: le dinamiche monetarie dell’Area Euro. Fonte: ECB

Inoltre, vediamo come le aspettative di inflazione sono rimaste molto ancorate e sensibilmente sotto il target del 2%.

Figura 3: aspettative di inflazione pe i diversi periodi. Fonte: BCE, disponibile presso: https://www.ecb.europa.eu/stats/ecb_surveys/survey_of_professional_forecasters/html/table_hist_hicp.en.html

Il PIL nominale: un nuovo strumento nella “cassetta degli attrezzi” delle autorità monetarie

A questo punto sembrerebbe che non ci sia via di uscita dal vincolo dato dai tassi di interesse se non quello di attuare misure non convenzionali.

Molti economisti, tuttavia, non la pensano così e propongono un nuovo target per la politica monetaria: il PIL nominale (o, in alcuni casi, il suo tasso di crescita). Vediamo di cosa si tratta.

Partiamo dalla definizione di PIL nominale: come insegnato in qualsiasi corso di macroeconomia, si tratta del PIL reale (le quantità prodotte) più il tasso di inflazione.

I sostenitori della “NGDP rule” chiedono, in sostanza, che la banca centrale assuma come obiettivo quello di avere un certo livello (o, in alcuni casi, il tasso di crescita) del PIL nominale. Una regola semplice, che ricalca quella dell’inflation targeting assieme a dei vistosi vantaggi. Ma andiamo con ordine e vediamo, in concreto, come funzionerebbe un target del PIL nominale.

NDGP target: come funziona?

Il modo in cui funziona il target del PIL nominale è, per certi versi, simile a quello dell’inflation target. Come in quest’ultimo caso, la banca centrale (la FED, la BCE o altre) annuncia un certo target del PIL nominale e si impegna a rispettarlo. Ad esempio, la BCE può annunciare un target per il 2022 di un PIL nominale pari a 100 e utilizzare tutte le variabili strumentali in suo possesso per ottenerlo.

In particolare, la variabile strumentale preferita dai sostenitori del NGDP targeting è l’offerta di moneta (intesa nel suo senso più ampio). Infatti, dall’equazione degli scambi di Fisher

MV = PY

, sappiamo che il PIL nominale è pari a MV, cioè all’offerta di moneta per la sua velocità di circolazione. Di conseguenza, per mantenere un PIL nominale costante l’autorità monetaria non deve far altro che assicurarsi che la spesa (l’offerta di moneta per la sua velocità di circolazione) rimanga costante.

Vantaggi del target del PIL nominale

Presentiamo ora alcuni vantaggi della proposta.

Vantaggio numero #1: facilità di applicazione e chiarezza

Il target del PIL nominale condivide con l’inflation targeting la facilità di applicazione e la chiarezza verso gli operatori; così come il lato del sistema economico su cui incide. Annunciando in modo trasparente il livello di PIL nominale (o il tasso di crescita dello stesso) la banca centrale permette agli operatori di formarsi delle aspettative sui futuri livelli di inflazione, output e disoccupazione; permettendo ai mercati di raggiungere facilmente l’equilibrio.

Allo stesso modo, facendo perno sull’equazione degli scambi e sulla teoria quantitativa della moneta, il target del PIL nominale stabilizzerebbe la velocità di circolazione e, quindi, semplificherebbe l’analisi degli effetti delle politiche monetarie su inflazione, prezzi e output.

Vantaggio #2: distinguere gli shock da domanda e da offerta

Una verità assodata (e confermata da anni di ricerca empirica) è che non tutte le deflazioni sono uguali: esistono delle deflazioni “buone” dovute a aumenti di produttività (e quindi da crescita economica) e “cattive” (provocate da cadute della spesa e della domanda).

Nell’inflation targeting, spesso è difficile distinguere l’una dall’altra e quindi una deflazione potenzialmente “buona” potrebbe essere contrastata erroneamente dalla banca centrale in quanto scambiata per una”cattiva”.

Una banca centrale che si impegni a mantenere costante il livello (o il tasso di crescita) della spesa nel sistema economico interverrebbe con politiche espansive solo in caso di caduta della domanda; questo permetterebbe ai prezzi di scendere nel caso vi siano aumenti di produttività, migliorando il tenore di vita delle persone.

Non si creerebbero delle spirali deflazionistiche “negative”, in quanto le persone sanno che i prezzi scendono per miglioramenti dal lato dell’offerta (visto che la banca centrale si impegna a mantenere costante la spesa nel sistema economico).

Vantaggio #3: tassi di interesse “naturali”

Il terzo vantaggio del NGDP targeting è che esso limita (e forse elimina) il problema di come impostare i tassi di policy.

Dall’equazione degli scambi sappiamo, infatti, che con velocità di circolazione stabile e offerta di moneta stabile, il reddito nominale sarà – per definizione – stabile. Nel caso dell’inflation targeting, un aumento dell’output implica una riduzione dell’inflazione e quindi a riduzione del tasso di policy, che potrebbe finire al di sotto del suo livello “naturale”.

Nel caso di un “Nominal GDP target”, al contrario, una quantità di spesa costante ed un’economia (e quindi un PIL reale) in crescita, non implicherebbe alcuna manovra sui tassi; i quali raggiungerebbero il loro livello naturale senza ulteriori manovre della banca centrale.

Vantaggio #4: Addio al problema dello Zero Lower Bound

L’altro vantaggio del NGDP target è l’eliminazione del problema dello Zero Lower Bound.

Una situazione ZLB si verifica quando un forte shock negativo della domanda aggregata contrae l’economia e abbassa il tasso di interesse naturale a breve termine sotto lo zero.

Queste forze abbassano anche i tassi di interesse nominali a breve termine finché non sono vicini allo zero per cento. Di conseguenza, i tassi di interesse reali a breve termine non riescono a raggiungere i livelli di equilibrio del mercato e la recessione si prolunga.

Nel caso del NGDP targeting, si verificherebbe quel temporaneo rialzo dell’inflazione necessario per riportare i tassi a livelli non nulli; cosa difficile da fare con il normale inflation target.

Possiamo vedere tale fenomeno con un piccolo esercizio controfattuale elaborato da David Beckworth, sostenitore della proposta in parola e senior fellow researcher presso il “Mercatus Center”.

Figura 4: Controfattuale NGDP vs inflation targeting nella ripresa post-2008

Anche se i tassi di interesse raggiungessero lo zero, la banca centrale non rimarrebbe mai senza munizioni. Se non si possono utilizzare i tassi di interesse, rimane l’uso dell’offerta di moneta come “munizione” principale per riportare il PIL nominale al livello desiderato.

Così è improbabile che i tassi di interesse scendano a zero. Infatti, con un target del PIL nominale, i tassi di interesse si adeguerebbero automaticamente al loro livello naturale superiore allo zero; lasciando al mercato dei capitali ed alle preferenze intertemporali degli individui la determinazione degli stessi.

Vantaggio #5: Una politica fiscale più responsabile

Uno dei problemi che le autorità monetarie dovrebbero assolutamente evitare è quello di perdere l’indipendenza dalla politica fiscale. Il Nominal GDP target riuscirebbe a rispondere anche a questa sfida; infatti se la banca centrale si impegnasse a mantenere il PIL nominale lungo il percorso target, diventerebbe chiaro che la stessa compenserebbe qualsiasi cambiamento dalla politica fiscale volta a stimolare la spesa aggregata nell’economia.

Allo stesso modo, le manovre di politica fiscale espansive volte a peggiorare la situazione di bilancio sarebbero più difficili da giustificare al pubblico. Se la banca centrale si impegnasse a mantenere un certo livello di spesa costante, qualsiasi spesa pubblica (specie se in conto corrente) per “salvare” dei settori poco produttivi si tradurrebbe semplicemente in una minore spesa in altre parti dell’economia. E allo stesso tempo, le riforme della politica dal lato dell’offerta potrebbero stimolare la produttività e quindi il PIL reale, e quindi l’inflazione rallenterebbe.

Svantaggi (e possibili risposte) al target del PIL nominale

Non tutto è, tuttavia, rose e fiori. I grandi problema del Nominal GDP targeting sono le difficili stime del PIL da un lato e la difficoltà di attuare praticamente la proposta dall’altro.

A entrambi tali svantaggi, tuttavia, i sostenitori del Nominal GDP targeting hanno saputo dare risposta. Per quanto riguarda le stime del PIL, David Beckworth argomenta che utilizzando dei metodi di cosiddetto “nowcasting” ad alta frequenza create dalle banche della Federal Reserve di Atlanta e New York per avere aggiornamenti in tempo reale del PIL reale nel trimestre in corso. I modelli di “nowcasting” potrebbero essere facilmente adattati per fornire anche “nowcast” per il PIL nominale nel trimestre in corso per aiutare a guidare una banca centrale nell’utilizzare questa regola. I risultati, come mostra Beckworth, sono molto confortanti (come vediamo in figura):

Figura 5: Stime del PIL con il metodo suggerito dall’autore

Da ultimo c’è il problema di come attuare la proposta. Anche se vi è una grande divisione tra i sostenitori del NGDP targeting su come concretamente mettere in pratica questa policy, una proposta interessante viene dall’economista americano Scott Sumner (direttore della divisione di studi sulla politica monetaria del Mercatus Center).

La proposta di Sumner consiste, in estrema sintesi, quella di “anticipare” le aspettative di crescita del PIL nominale e stabilire un mercato dei futures del PIL nominale; adeguando la base monetaria per stabilizzare i prezzi dei futures sul PIL nominale.

Per esempio, se l’obiettivo della banca centrale fosse una crescita del PIL nominale del 5%, allora regolerebbe i suoi strumenti fino a quando il mercato dei futures prevede anche una crescita del PIL nominale del 5%.

In questo modo, anticipando le aspettative del mercato e adeguando di conseguenza l’offerta di moneta, la banca centrale rimane credibile nel perseguire la sua policy.

PIL nominale: lo strumento della politica monetaria del futuro?

Nel corso del tempo, l’inflation targeting ha mostrato i suoi limiti lasciando senza “munizioni” le autorità monetarie, che sono state costrette a ridurre (fino in territorio negativo) i tassi di interesse.

Un target del PIL nominale può essere una potenziale risposta ai limiti dell’attuale approccio. Sempre più economisti (di diversa estrazione: da alcuni neokeynesiani –tra cui James Tobin – fino ad alcuni monetaristi) nonché personalità di rilievo del mondo del central banking considerano il Nominal GDP target la politica monetaria del futuro.

Saremo capaci a implementarla? Avremo il coraggio di farlo? Quali saranno i suoi effetti nel mondo reale, oltre i modelli? Solo il tempo e l’esperienza ce lo potranno dire.

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