Economia, Scienze economiche

Questo QE non s’ha da fare (o come prepararsi una politica restrittiva)

Introduzione

Più volte su queste pagine abbiamo parlato di tapering, ossia di riduzione dell’acquisto di titoli da parte delle banche centrali. Questa operazione, facile da definire, è molto difficile da attuare: in primis per l’impatto di questa decisione sulle aspettative degli operatori, in secondo luogo per gli effetti della stessa sul bilancio delle banche centrali stesse. Come fare quindi per minimizzare i costi di questa decisione? Ne parliamo nell’articolo di oggi, ispirato da una ricerca del Center for Economic Policy.

QE: il quadro di riferimento

È un dato di fatto che la crisi del 2008 prima e quella creata dal COVID-19 poi abbiano comportato un’interconnessione sempre maggiore tra politica monetaria e fiscale: sia con il Quantitative Easing (QE), con cui le banche centrali acquistano titoli di stato a lungo termine (per abbassare i tassi di interesse a lungo termine), sia grazie alle regole sulla liquidità introdotte dopo la crisi finanziaria globale (le quali hanno richiesto alle banche commerciali di aumentare le loro disponibilità di attività liquide, inclusi sia i saldi di riserva presso la banca centrale che i titoli di stato).

Tutto questo viene evidenziato molto bene dal grafico seguente, in cui sono riportati i bilanci delle principali banche centrali a livello mondiale:

Figura 1: I bilanci delle banche centrali nel decennio 2010-2020

È evidente come, nel corso del tempo, la politica monetaria molto espansiva delle banche centrali si sia prodigata molto nel controllare i rendimenti dei titoli pubblici; cosa – questa – che ha reso sostenibili i livelli di indebitamento (molto) alti degli Stati.

Tale politica, sebbene perseguibile senza problemi nel breve periodo, pone dei problemi di stabilità dei mercati finanziari e di credibilità delle banche centrali. Da un lato, infatti, un eccessivo controllo (al ribasso) dei rendimenti ne produce – in accordo con la relazione inversa che sussiste tra prezzo e rendimento di uno strumento – un aumento del prezzo (e quindi possibili fenomeni “speculativi”); dall’altro, come le ricerche di Sargent e della nuova macroeconomia classica suggeriscono, una perdita di credibilità da parte delle banche centrali implica una peggiore gestione dell’inflazione.

Come evitare tutto ciò: il bilancio delle banche centrali

Il lato dell’attivo

Evitare questi fenomeni è di centrale importanza per la politica monetaria, ma come fare? Una soluzione (proposta da alcuni studiosi del CEPR) vede nel bilancio della banca centrale stessa il “bandolo” della matassa. Dal lato dell’attivo, i ricercatori propongono l’esecuzione – tra il Tesoro e la banca centrale rendano il loro attivo più “liquido” effettuando uno scambio di questo tipo: la banca centrale darebbe al Tesoro parte del suo portafoglio di titoli di stato a lungo termine (acquisiti con il QE) con un portafoglio di nuova creazione di obbligazioni a scadenza più breve (titoli a breve termine o obbligazioni a breve-medio termine).

Questo allineerebbe le scadenze presenti all’interno del bilancio della banca centrale stessa.

Tale operazione avverrebbe interamente all’interno del settore pubblico, in modo che la posizione di bilancio consolidata del settore pubblico nei confronti di terzi non cambi.

La banca centrale, dal canto suo, continuerebbe a rinnovare le sue partecipazioni di debito pubblico e i saldi di riserva delle banche rimarrebbero inalterati.

Quindi lo stimolo monetario del QE rimarrebbe in vigore fino a quando le condizioni macroeconomiche non indicassero diversamente.

La logica sottostante è questa: le vendite di titoli pubblici saranno maggiori quando è richiesta la restrizione monetaria e meno pronunciate quando l’economia si indebolisce.

Utilizzata in questo modo, la stretta quantitativa – l’opposto del QE – diventerebbe un utile strumento di politica monetaria.

Il lato del passivo

E per il passivo? Gli autori propongono, per questo “lato” del bilancio, di convertire una parte delle riserve bancarie in titoli di Stato a più breve scadenza: una conversione – questa – che dovrebbe essere obbligatoria, poiché un’asta di un importo molto elevato di obbligazioni sarebbe sicuramente sottoscritta.

Per rendere la misura “appetibile” per le banche, gli autori propongono di esentare i nuovi titoli di Stato dal calcolo del coefficiente di leva finanziaria; a fronte – però – (ed è bene precisarlo) di un maggior rigore nella conduzione degli “stress test” periodici.

Quanta parte di riserve convertire dipenderebbe da una valutazione della domanda strutturale di riserve, che è notevolmente aumentata dopo la crisi finanziaria globale. Ai rendimenti attuali, argomentano gli autori, il costo degli interessi per il governo sarebbe basso.

Conclusioni

La ripresa dell’inflazione da un lato e l’alto rapporto debito/PIL dall’altro pongono le banche centrali davanti a un dilemma di grande portata: continuare con i programmi di acquisto dei titoli (a scapito di una minore stabilità dei prezzi) o normalizzare le loro politiche monetarie.

Un modo per farlo (con i minimi costi) potrebbe essere aggiustare la struttura del bilancio della banca centrale.

Per proteggere l’indipendenza della banca centrale, occorre chiarire meglio la separazione tra politica monetaria e politica fiscale.

Ora che i tassi sono (ancora) bassi, preoccuparsi di quando e come ritirare gli stimoli senza creare danni collaterali è di fondamentale importanza.

+ posts