Politica, Quirinale

Verso il Quirinale – Luigi Einaudi

Nella scorsa puntata della nostra serie dedicata ai Presidenti della Repubblica del passato abbiamo parlato di Enrico de Nicola; primo ospite del Quirinale. Oggi parliamo del suo successore, Luigi Einaudi, e della sua presidenza. Cominciamo.

Chi era Einaudi? Cenni biografici ed attività politica

Nato a Carrù (in provincia di Cuneo) il 24 marzo del 1874, Einaudi nasce da una famiglia di modeste condizioni economiche. Rimane, nel 1888, orfano di padre e si trasferisce – nello stesso anno – a Dogliani, il paese natale della madre.

Diplomatosi con una maturità classica con il massimo dei voti, Einaudi si laurea in giurisprudenza nel 1895. Proprio durante il periodo degli studi universitari, il futuro presidente della Repubblica si avvicina all’attività politica grazie alle vicinanze che ha con i movimenti socialisti; per i quali collaborerà curando alcuni contenuti per la rivista “Critica sociale”. Questa collaborazione durerà per circa dieci anni, dopo i quali il Nostro si sposterà su posizioni sempre più orientate al mercato.

Nonostante la sua laurea in giurisprudenza, il suo spiccato interesse per l’economia e le sue capacità gli fanno ottenere non solo la cattedra di scienze delle finanze all’Università di Torino (cattedra che terrà fino al 1961, quando chiamerà a succedergli l’amico e collega Francesco Forte) e alla Bocconi a Milano; ma anche quella di legislazione industriale al Politecnico di Torino.

Nel 1919 comincia la sua carriera politica, con la sua nomina – da parte dell’allora Primo Ministro Nitti – a senatore del Regno; fatto che gli dà l’occasione di portare avanti battagli tipiche del pensiero “liberale” (come una maggiore autonomia dei territori, una minor burocrazia e maggior apertura dei mercati). Degno di nota è, poi, il suo Europeismo “ante litteram”; il quale lo avvicina molto a delle posizioni “moderne” in tema di Europa.

Gli anni del fascismo e della guerra

Durante gli Anni Venti, Einaudi si trova a fare delle scelte politiche importanti. Sebbene, infatti, condivida le politiche di impronta liberista del primo ministro del Tesoro de Stefani; Einaudi nutre molti dubbi sui progetti politici del fascismo e di Mussolini. Per questo, soprattutto dopo il delitto Matteotti, Einaudi si allontana sempre di più dal regime fino ad abbandonare quasi del tutto la sua attività accademica per seguire più da vicino il suo impegno politico per la ricostituzione di uno Stato liberale.

Una testimonianza di questo è, ad esempio, la sua firma al “Manifesto degli intellettuali antifascisti”; così come le dimissioni dal “Corriere della Sera” e il suo allontanamento dalle cattedre di Milano e Torino (nonché il suo voto contrario alla guerra in Etiopia e alle leggi razziali).

Nel 1943 inoltre, fedele al suo ideale europeista, aderisce al Movimento Federalista Europeo (fondato a Milano, tra gli altri, da Altiero Spinelli) dopo essersi rifugiato in Svizzera a seguito dell’8 settembre.

Da Palazzo Koch…

Dopo la guerra, per le sue competenze economiche Einaudi diventa governatore della Banca d’Italia.

La situazione cui dovette far fronte era decisamente critica. Come riporta questo documento di BankItalia, a causa delle “stampanti facili”, la lira si ridusse ad un trentesimo del suo valore anteguerra, una performance addirittura peggiore di quella avuta dopo la Prima Guerra Mondiale). Per il nuovo governatore, arrestare l’inflazione era la priorità numero uno.

Con Einaudi, tale operazione ebbe successo. Due anni dopo essere stato eletto, nell’estate del 1947, venne rimodulato il meccanismo della riserva obbligatoria assegnando al CICR (organismo creato appositamente) il potere di variarne il coefficiente. Nel maggio 1948 venne posto un limite al finanziamento monetario dello Stato, limitato al 15% delle spese previste in bilancio. Inoltre, promosse la liberalizzazione del commercio dei cambi e l’adesione dell’Italia al sistema di Bretton-Woods. Agì, inoltre, anche sulla vigilanza: fu ad abolire un Ispettorato appositamente creato nel 1936 dal fascismo per assegnare le funzioni dello stesso a BankItalia, lasciando la responsabilità politica in materia al CICR. Queste misure permisero alla lira di consolidarsi e ritornare a pieno titolo ad essere una moneta credibile; ponendo le basi per il ricevimento degli aiuti internazionali per avviare e gestire al meglio la ricostruzione.

Un altro (importante) successo dell’Einaudi governatore è stato quello di aver fatto inserire in Costituzione (art.47) l’importante principio della tutela del risparmio; fondamentale per una crescita bilanciata e sostenibile.

…al Quirinale

L’incarico come governatore della Banca d’Italia durerà fino al 1948, quando sotto il IV governo de Gasperi ricopre (contemporaneamente alla carica di Governatore) la carica di Vicepresidente del Consiglio dei Ministri e quella di Ministro del Bilancio.

Dopo un’elezione “movimentata” Einaudi (scelto dalla dirigenza democristiana come ripiego alla sfortunata candidatura di Carlo Sforza) diventa presidente della Repubblica l’11 maggio del 1948; al quarto scrutinio, con 518 voti su 872. Nel suo famoso discorso di insediamento, in cui non faceva mistero delle sue posizioni monarchiche, Einaudi dimostra una grande maturità nel riconoscere i cambiamenti sociali, politici ed economici del Paese; dichiarando che la sua adesione al progetto repubblicano era non solo formale ma sostanziale.

Nonostante l’età (oramai avanzata) Non potremmo definire Einaudi un presidente “tranquillo” o “passivo”. Nel corso del suo mandato, infatti, fece riesaminare in diverse occasioni le leggi a lui presentate: due volte per mancata indicazione delle coperture finanziarie necessarie (a norma dell’art.81), una terza (infruttuosa) relativa a questioni giuridiche e una quarta relativa ai compensi ed i diritti del Ministero del Tesoro.

Famosa, poi, è la sua “bocciatura” (nel 1953) dell’ottavo governo de Gasperi, dopo la quale Einaudi conferì l’incarico a Giuseppe Pella (economista più volte presente nei punti apicali dei ministeri a carattere economico); così come l’importanza che assegnava alla scelta dei ministri nei governi.

Dopo il Quirinale

Allo scadere del suo mandato (nel 1955), il Presidente piemontese venne proposto da alcuni per una rielezione. Ottenne ben 120 voti al primo scrutinio; ma alla fine i voti scesero fino a che vinse Giovanni Gronchi. Tornò, quindi, al suo “mestiere” di Senatore a vita fino al 1961, quando si spense a Roma.

L’eredità che ci lascia questo presidente è grande: il richiamo alla sobrietà, al dovere, un’eredità laica, pragmatica e sinceramente devota allo sviluppo economico, politico e sociale del Paese; non solo considerato in se stesso ma come parte di una realtà più grande e complessa che noi, oggi, chiamiamo “Europa”.

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