Finanza, Scienze economiche

Russia in default: quali scenari?

Il debito russo, a seguito dell’invasione dell’Ucraina, non gode di ottima salute. In un nostro precedente articolo, infatti, vi abbiamo detto che le principali agenzie di rating (per effetto del combinato disposto delle sanzioni occidentali e della scarsa fiducia nel rublo) hanno abbassato il rating del debito russo; il quale rischia il default. Cosa succederebbe se la Russia andasse in default? Ne parliamo nell’articolo di oggi.

Default tecnico: cos’è?

Il default del debito di un paese non è un affare da trattare a cuor leggero. Stiamo parlando, infatti, di una situazione in cui il mutuatario non effettua un pagamento al creditore; pur avendo le risorse per farlo. In questo caso, il mutuatario perde la sua reputazione di “buon pagatore” ed inizia ad avere problemi nel collocare sul mercato i suoi titoli di debito; per i quali dovrà riconoscere un tasso più elevato. Insomma, come dicevamo, non una situazione da prendere a cuor leggero; perché se è vero che il mutuatario insolvente gode di un periodo di “grazia”, durante il quale il debito va estinto, la situazione potrebbe peggiorare.

Default russo: la prima volta?

La Russia non è nuova ad una situazione come questa. Già nel 1998, infatti, il Paese dovette affrontare una situazione di questo tipo; causata da un calo della produttività, da un disavanzo fiscale strutturale e dagli alti costi della prima guerra cecena. Tutto questo, ovviamente, aggravato da una forte crisi politica; in cui l’allora presidente El’cin sostituì bruscamente il primo ministro dell’epoca, contribuendo a creare una crisi di fiducia sugli investitori. A peggiorare le cose ci fu un’improvvisa caduta del prezzo del petrolio; cosa che, stante la storica correlazione con il rublo, contribuì a deprezzare la valuta di Mosca.

Una tempesta perfetta, insomma, alla quale il governo Krinenko decise di rispondere aumentando del 150% i tassi di interesse sui titoli di stato a breve termine e ridusse le riserve di valuta estera per sostenere il cambio; misura a cui si aggiunse il prestito di 22,6 milioni di dollari da parte del Fondo Monetario Internazionale. Nonostante questo, nel luglio 1998 i tassi di interesse salirono del 40% in più rispetto alla riscossione mensile delle imposte; questo, unito ad una sempre minore fiducia degli investitori, portò il governo russo a dichiarare default sul debito interno il 17 agosto del 1998, con una moratoria per quanto riguarda il debito estero.

E oggi?

La situazione, oggi, è per certi versi diversa. Come spiegato in questo articolo di MilanoFinanza, infatti, all’epoca le istituzioni internazionali erano molto attente all’evoluzione della crisi; cosa che oggi non sono. Infatti le sanzioni imposte dalla comunità internazionale avevano esattamente l’obiettivo di mettere in difficoltà la Russia, cosa che – evidentemente – sta funzionando molto bene; considerando che ha già sospeso il pagamento di 29 miliardi in valuta interna.

La banca centrale russa ha compiuto, nell’arco di pochi giorni, quello che aveva compiuto nel 1998 nell’arco di mesi: rialzo dei tassi per difendere il cambio e utilizzo delle riserve in valuta estera (che sono comunque parzialmente bloccate per le transazioni come effetto delle sanzioni). Allo stesso tempo, il governo russo ha costretto i cittadini a non convertire i loro rubli in valuta internazionale; una sorta di “controllo dei capitali” in salsa russa fatto per sostenere il cambio.

Il tutto con le ovvie conseguenze in termini di aumento dei prezzi, crisi di fiducia degli investitori (che nel frattempo stanno spostando altrove i loro capitali) e crisi finanziaria. La Borsa Russa non riapre da quattro giorni; evento che non accadeva dal 1917. I CDS a 5 anni sul debito russo (rappresentati in figura) hanno raggiunto il loro massimo storico; mentre la probabilità di default del paese sale (nel momento in cui stiamo scrivendo questo articolo) al 67%.

Figura 1: CDS russi a 5 anni

Allo stesso modo, come riporta l’ANSA, c’è una

Fiammata anche per il rischio default del settore privato: Sberbank, una delle principali banche colpite dalle sanzioni, stamani ha visto volare i contratti Cds, che fungono da assicurazione dal rischio default, a quasi 2.400, da circa 750 dov’erano a inizio mese

Non un bello scenario per Putin e i suoi oligarchi; le cui mire espansionistiche possono trovare ancora margine di riuscita dal lato militare, ma che stanno portando la Russia al collasso economico ed al suo isolamento sul piano internazionale. Insomma, una vittoria di Pirro.

Quali sviluppi?

Un eventuale default russo avrebbe delle conseguenze rilevanti, anche per le banche italiane. Infatti, come riporta l’articolo di “MilanoFinanza”:

Si pone qui l’interrogativo sulle scelte che compiranno le due principali banche italiane – Intesa S. Paolo e Unicredit – operanti direttamente ,con filiali, e indirettamente in Russia, nonché sulle conseguenze del fallimento che, al di là delle emissioni obbligazionarie, ha un potente effetto-alone sulle imprese esportatrici.

A livello europeo, lo stesso cui sono state poste le sanzioni, a parlare dovrebbe essere la BCE; la quale è molto probabile che non tolga gli stimoli monetari (cosa che viene ampiamente prezzata dai mercati); vista la sempre crescente incertezza. Questo dovrebbe, almeno nel breve, tamponare la situazione; ma pone problemi in relazione alla stabilità dei prezzi, che con un’inflazione che non accenna a fermarsi sposta le banche centrali in uno stretto corridoio da cui sarà molto difficile uscire.

Lezioni dalla Storia

La storia economica ci insegna che quando un Paese e i suoi parametri strutturali sono deboli, sarà debole anche il suo sistema finanziario e la sua moneta; con tutte le conseguenze connesse. Questa è la Russia; un Paese la cui economia era debole nel periodo sovietico, con delle storture nel periodo di transizione che permangono ancora oggi. L’occasione della guerra in Ucraina ce lo ha solo ricordato.

La risposta unita del mondo libero potrebbe aver fatto suonare il primo rintocco della campana a morto per l’economia russa. Sapendo questo, forse è giunto il momento, per l’Europa, di rispondere con una sola voce non solo dal punto di vista politico (come ha ampiamente dimostrato di saper fare) ma anche e soprattutto dal punto di vista economico.

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