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Salario minimo legale, ci sarà presto una svolta?

In Italia è presente un mercato del lavoro abbastanza fragile. L’Italia è l’unico paese in Europa dove negli ultimi 30 anni i salari sono diminuiti, cosa è successo al nostro mercato del lavoro? L’occupazione è tornata a crescere dopo due anni di pandemia, e i contratti sono precari con salari offerti a 2/3 euro e mezzo l’ora. Una soluzione potrebbe essere l’introduzione legale di un salario minimo legale, al di sotto del quale non si dovrebbe scendere.

Il salario minimo proviene dal diritto europeo

La scelta di affidare alla legge o alla contrattazione collettiva il compito di determinare il livello minimo è coerente con le tradizioni dei sistemi di relazioni industriali presenti nei singoli paesi europei. Nel Pilastro europeo dei diritti sociali viene richiamato il diritto a una retribuzione equa e sufficiente, fissando i principi per determinare il salario minimo. Il Pilastro non prevede tuttavia una soglia minima europea, dal momento che sulla base dei Trattati europei la materia salariale è saldamente di competenza nazionale. Nello specifico, nel Pilastro (n. 6), viene richiamato il diritto a retribuzioni sufficienti a garantire un livello di vita dignitoso; e vengono fissati due principi fondamentali che, invece, riguardano l’ipotesi in cui l’ordinamento interno affidi alla legge la determinazione del salario minimo. Quanto al primo, si individua l’aspetto più controverso dell’istituto dal punto di vista economico, ovverosia la fissazione del livello ottimale di salario legale.

Una risposta europea alla crisi pandemica

Nel quadro del Pilastro sociale, è intervenuta la Commissione europea con una Direttiva (Proposta). La Proposta segna una sorta di cambiamento di paradigma nella strategia di crisis management (Müller 2021).

La risposta europea alla crisi finanziaria del 2008 suggerì austerità, di riesaminare gli accordi salariali e il grado di accentramento contrattuale; mentre, nell’odierna fase di crisi pandemica, si garantisce il diritto a una retribuzione equa, e si suggerisce a tutti gli Stati membri dotati o meno di SML (salario minimo legale) di promuovere la contrattazione collettiva, estendendone la copertura. Vale a dire ampliando la percentuale di lavoratori a livello nazionale cui si applica un contratto collettivo (cfr. art. 3, n. 3 della Proposta).

Secondo la Commissione UE infatti: “La contrattazione collettiva svolge un ruolo fondamentale nella garanzia di un salario minimo adeguato. I paesi caratterizzati da un’elevata copertura della contrattazione collettiva tendono ad avere, rispetto agli altri paesi, una percentuale inferiore di lavoratori a basso salario, salari minimi più elevati rispetto al salario mediano, minori disuguaglianze salariali e salari più elevati”.

Non confondere il mercato settoriale con quello intersettoriale

Nello specifico, oggetto di attenzione della Proposta europea non è la contrattazione collettiva di qualsiasi livello, ma specificatamente quella di “livello settoriale o intersettoriale”. In sostanza, posto l’obiettivo fondamentale dell’adeguatezza dei salari minimi, il ruolo del SML è strumentale rispetto a un intervento adeguato della contrattazione salariale.

La Commissione europea abbraccia così quell’approccio che rimarca i modelli in cui un SML e CCNL convivono virtuosamente influenzandosi reciprocamente; affidando al SML la funzione protettiva in favore dei lavoratori con salari più bassi (working poor).

Se solo fosse sopra il 60%…

Secondo alcuni studi, il salario minimo aiuterebbe se collocato attorno al 60 o oltre per cento della retribuzione mediana; poiché un quarto dei lavoratori ha una retribuzione individuale inferiore al 60% della mediana dei salari.

Inoltre, non dovrebbe avere effetti negativi sulla competitività delle imprese, quanto meno delle imprese serie. Certo, taglierebbe le gambe a quelle microimprese che vivono proprio grazie ai bassi salari, all’evasione fiscale, all’alta percentuale di lavoro nero, e che rappresentano una buona parte dell’11 per cento di Pil sommerso che rappresenta una delle grandi anomalie dell’Italia. Sono “imprese zombie”, che sopravvivono grazie al contributo di lavoratori mal pagati e anche di sussidi. Il loro destino è uscire dal mercato e far posto a imprese più competitive ed efficienti. I sindacati strepitano contro i working poors e i contratti pirata, ma si oppongono al salario minimo, perché temono di perdere ruolo.

Un salario minimo legale al posto del RDC

A proposito dei cosiddetti contratti pirata, è noto che in Italia i minimi tabellari stabiliti nei CCNL costituiscono già un equivalente funzionale del salario minimo legale. Poiché, grazie a questo meccanismo, i minimi risultano applicabili anche a imprese e lavoratori che non hanno sottoscritto alcun contratto collettivo.

D’altro canto, secondo recenti stime (Bergamante 2021), l’Italia presenta una elevata copertura della contrattazione collettiva settoriale. I CCNL coprono l’88,9% dei lavoratori dipendenti e l’82,3% degli addetti, abbondantemente al di sopra della soglia del 70% sotto la quale si deve agire.

Tuttavia, disaggregando il dato (grafico) emergono difetti nella copertura in linea con i punti dolenti di sviluppo del sistema produttivo e del sistema di negoziazione collettiva; soprattutto se si considerano alcuni settori in cui è anche più presente il lavoro atipico.

Al contesto si aggiunge anche la diffusione della contrattazione non rappresentativa (lavoratori non rientranti nei CCNL), che non solo fiacca il ruolo protettivo e anticoncorrenziale (per evitare la fuoriuscita di “personale-chiave”) della contrattazione collettiva nel suo complesso, ma finisce per rendere il dato sulla copertura quasi meramente figurativo.

Una manovra, quella del SML, che potrebbe essere presa in sostituzione del reddito di cittadinanza, molto costoso in termini di spesa pubblica e poca crescita del PIL. Quindi, formalizzare un salario minimo legale potrebbe essere un incentivo per molte persone a cercare lavoro, uscendo dalla categoria dei NEET o dei disoccupati.

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