Geopolitica, Politica

Scacco al re: quando la politica ci aiuta a capire la geopolitica

Spesso si sente dire che l’economia è una materia troppo astratta e settoriale, che non ha altre applicazioni all’infuori delle analisi dell’equilibrio di mercato e dell’interpretazione delle politiche economiche dei diversi Stati e governi; una “scienza triste” come ebbe a dire Thomas Carlyle, che è poco spendibile sul piano dell’attualità e della pratica. Eppure, se diamo un’occhiata più in profondità alle discipline in cui la materia economica si articola, scopriamo che non è così.

Un esempio di quanto detto è la cosiddetta “teoria dei giochi”, ossia quel “Modello matematico per lo studio delle ‘situazioni competitive’, in cui cioè sono presenti più persone (o gruppi di persone, o organizzazioni) dette appunto ‘giocatori’, con autonoma capacità di decisione e con interessi contrastanti “

Rispetto all’analisi economica standard, la teoria dei giochi rimuove tre requisiti: il fatto che gli individui agiscano in modo razionale, l’informazione perfetta e i costi di transazione inesistenti; essendo che lo scopo della teoria dei giochi è quello di esaminare i problemi relativi alle informazioni imperfette, ai comportamenti strategici e ai costi di transazione.

La premessa della teoria è che tutti devono essere a conoscenza delle regole del gioco, ed essere consapevoli delle conseguenze di ogni singola mossa. La mossa, o l’insieme delle mosse, che un individuo intende fare viene chiamata strategia. Come risultato delle strategie adottate da tutti i giocatori (o agenti), ognuno riceve un pay-off (cioè la vincita finale), che può essere positivo (ha guadagnato in conseguenza di una data mossa o strategia), negativo (ha perso) o nullo; tutto questo nel contesto in cui ciascuno cerca di massimizzare il proprio risultato.

L’idea della teoria dei giochi, che ha inizio nel 1944 con l’opera Theory of Games and Economic Behavior di John von Neumann e Oskar von Morgenstern, è quella di descrivere matematicamente il comportamento umano in quei casi in cui l’interazione fra individui comporta la vincita o lo spartirsi di qualche tipo di risorsa (giochi cooperativi).

John Nash si inserisce nella teoria dei giochi perché approfondisce lo studio dei cosiddetti “giochi non cooperativi”, cioè le situazioni in cui i giocatori non possono accordarsi con gli altri giocatori, ma competono con essi. Nash ha il merito di dimostrare che, sotto certe condizioni, esiste sempre una situazione di equilibrio, che si ottiene quando ciascun individuo che partecipa a un dato gioco sceglie la sua mossa strategica in modo da massimizzare il pay-off, sotto l’ipotesi che il comportamento dei rivali non varierà a motivo della sua scelta (vuol dire che anche conoscendo la mossa dell’avversario, il giocatore non farebbe una mossa diversa da quella che ha deciso).  L’equilibrio di Nash è quella situazione in cui, dopo aver attuato le proprie strategie, nessun giocatore può migliorare il proprio risultato modificando solo la propria strategia. L’equilibrio di Nash dunque è la soluzione del gioco, in quanto nessuno dei giocatori ha interesse a cambiare strategia. Il contributo di Nash è quindi quello di aver fornito la dimostrazione matematica del fatto che esiste almeno un equilibrio, quando vi è un numero qualunque ma finito di giocatori.

La cosa estremamente affascinante della teoria dei giochi è che, sebbene formulata in un ambito essenzialmente matematico, essa trova delle applicazioni in praticamente ogni campo dell’azione umana in cui vi sia un’interazione strategica: dall’economia , passando per il diritto fino ad arrivare, ad un ambito estremamente interessante e complesso come la geopolitica.

Ed è proprio  con riferimento alla geopolitica che oggi parliamo di questa stupenda branca della matematica pensando alle applicazioni che essa ha storicamente avuto durante uno dei periodi più incerti della storia novecentesca: la Guerra Fredda e – in particolare – la crisi dei missili cubana. Riprendiamo un esempio già fatto dalla Cornell University e consideriamo la prima azione dei sovietici: l’installazione dei missili sul suolo di Cuba. L’Unione Sovietica avrebbe potuto, a questo punto, pianificare ciò che probabilmente sarebbe success dopo: gli Stati Uniti, sapendo che attaccare i sovietici non avrebbe avuto altro esito che intensificare l’escalation fino alla cosiddetta “MAD” (Mutually Assured Destruction”, Distruzione Mutua Assicurata), avrebbero avvertito i sovietici, i quali, sapendo che se non avessero obbedito alle intimazioni degli USA ci sarebbero state delle ripercussioni, si sarebbero conformati alle dichiarazioni degli USA. È questo, in estrema sintesi, ciò che è realmente successo; vediamo come possiamo rappresentarlo in termini di teoria dei giochi.

Come vediamo dall’immagine, anche se a prima vista sembra esserci un payoff positivo che incentiva i giocatori a spostare le loro strategie da “Bassa Aggressività” a “Aggressività”, entrambe le parti  in oggetto (USA ed URSS) sapevano che il creare una situazione di “gioco” tale per cui vi è una parte che adotta una strategia non aggressiva e l’altra che adotta una strategia “aggressiva” non è coerente e desiderabile, dal momento che un payoff iniziale di 5 comporterebbe un payoff negativo di -100. Banalmente, se gli Stati Uniti bombardassero l’URSS in t1, avrebbero un payoff di +5, ma in t2 l’URSS avrebbe risposto bombardando gli USA a loro volta e viceversa per sempre poiché nessuna delle due parti si sarebbe fidata dell’altra nel momento in cui una avesse annunciato il cessate il fuoco. Si sarebbe innescato, insomma, quello che secondo i canoni della Teoria dei Giochi viene chiamato come “Gioco del Pollo” (quella situazione in cui due contendenti, alla guida delle rispettive automobili, si lanciano a velocità folle verso uno scontro frontale. Se entrambi non cedono, si ha lo scontro. Chi invece sterza per primo è appunto il pollo, il codardo; un “giocatore” per vincere devono adottare delle strategie opposte a quella dell’altro ed in cui, nel caso della guerra Fredda, molto probabilmente – senza le politiche lungimiranti degli attori dell’epoca – si sarebbe concluso con al “morte” di entrambi i giocatori.

Questo è solo uno degli esempi possibili di teoria dei giochi applicata alla Guerra Fredda, come molti saggi in merito illustrano. La prova, insomma, che l’economia non è la scienza triste e che – forse – si possono applicare gli insegnamenti di questa meravigliosa disciplina anche durante una guerra (per quanto “fredda”) o, e ce lo auguriamo, in occasione di una buona ed amichevole partita di scacchi.

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