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Un commento alle elezioni romane

Il discorso finale dì Virginia Raggi è l’inveramento di chi da tempo sosteneva che il grillismo altro non era che un voto popolare di rivolta cavalcato dai più beceri oppositori della ragione.

Un piagnisteo continuo per rivendicare non si sa bene quale lavoro concluso e quale risultato raggiunto. L’eredità pesante dell’amministrazione precedente diventa un cavallo dì battaglia di Virginia, è questo il senso del discorso. Un brevetto che ammutisce le prossime amministrazioni “lei ha fatto bene”, talmente bene che non si contano gli errori, e non si vedono i successi.

In questi pochi giorni trascorsi a Roma ho vissuto un viaggio nel tempo, il problema è che non sono stati i bellissimi monumenti romani a farmelo rivivere, ma piuttosto lo schifo con cui vengono gestiti i servizi municipali, dai trasporti alla raccolta rifiuti, dagli autobus alla metropolitana, le strade, la viabilità.

Di Roma salverò sempre la bellezza del Pantheon, la maestosità dell’Altare della Patria, la bellezza di Trastevere, la magnificenza di Trevi, l’incanto della Barcaccia, la tristezza per non aver avuto ancora occasione di vedere dal vivo l’estasi di S. Teresa; ma di certo non i giroconti fra stato e comune per salvare i debiti dì questa città defunta.

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