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Vaccinologia: una piccola introduzione

Questo articolo, primo di una serie sul tema, scaturisce dalla necessità di fare chiarezza, in questo mare magnum di disinformazione, sulla funzione dei vaccini a livello di legislazione pubblica in materia sanitaria e rispondere a un quesito impellente: i vaccini per il SARS-CoV-2 sono sicuri e necessari?

Cos’è un vaccino?

Un vaccino è un prodotto biologico, con lo scopo di proteggere contro infezioni e/o malattie, tramite una risposta immunitaria controllata e sicura, grazie all’esposizione a un patogeno. Un vaccino contiene un antigene, che deriva o dal patogeno o è riprodotto in modo sintetico: nello specifico, la componente essenziale è un antigene proteico.

Bisogna innanzitutto comprendere che esistono 2 tipi di immunità:

  1. Naturale o aspecifica, consente all’organismo di rispondere in modo generalizzato e aspecifico a un patogeno. è composto da diversi tipi di cellule – mastociti, eosinofili, basofili, macro- fati e altri – in gradi di eliminare i patogeni.
  2. Acquisita o specifica, stimolata dall’esposizione a sostanze estranee. Ha un’azione più lenta rispetto quella aspecifica.

Ai fini dell’analisi, ci concentriamo sull’immunità acquisita, che può essere divisa in:

  1. Umorale, mediata dai linfociti B, ossia cellule che producono anticorpi e attivi verso agenti extracellulari.
  2. Cellula mediata, mediata dai linfociti T, volti alla risposta cellula mediata e attivi verso agenti intracellulari.

Per ultimo, l’immunità specifica si divide anche in:

  1. Attiva, quando l’individuo è esposto a un agente estraneo e forma le proprie difese, a partire dal meccanismo B cell-dependent e T cell-dependent.
  2. Passiva, l’immunità viene ottenuta tramite il trasferimento di cellule o siero da un soggetto immune a uno non ancora esposto.

Immunità acquisita: caratteristiche

I vaccini proteggono tramite l’induzione della memoria immunologica, ossia la capacità del sistema immunitario di rispondere velocemente e efficacemente a un patogeno, che induce l’azione combinata dei linfociti T e B. Questa risposta è sufficiente contro patogeni che abbiano periodi di incubazione abbastanza lunghi: nel caso dell’epatite B, il periodo di incubazione va dalle 6 settimane ai 6 mesi e un soggetto vaccinato è protetto anche se l’infezione avviene a distanza di tempo.

Poiché il livello degli anticorpi dipende dall’età, la natura dell’antigene e il numero di booster somministrati, si agisce sull’ultimo fattore, incrementando i richiami del vaccino, per mantenere il livello di anticorpi sopra la soglia di protezione. Questo approccio è utilizzato contro il tetano, che viene inoculato nei bambini sotto forma di più dosi.

Un’altra caratteristica della protezione tramite vaccinazione è la protezione di gregge, termine più corretto rispetto a “immunità”, data la funzione protettiva e preparatoria del vaccino contro un patogeno.

Se si raggiunge una determinata soglia di vaccinati e se il vaccino consente di prevenire non solo lo sviluppo della malattia, ma anche l’infezione in sé, viene interrotta non solo la trasmissione del patogeno, ma anche l’incidenza della malattia.

Per patogeni altamente trasmissibili, è necessario raggiungere un tasso di vaccinazione del 95% della popolazione: come vedremo, il SARS CoV-2 richiede questa soglia. Per l’influenza, d’altro canto, questo tasso varia da stagione a stagione e varia in base all’efficacia dei vaccini adottati.

Sicurezza ed effetti collaterali dei vaccini

I dati confermano come i vaccini siano un sistema incredibilmente sicuro per difendere la salute umana. Gli effetti collaterali comuni sono documentati in trial clinici specifici, che approfondiremo in un successivo articolo: qui anticipiamo solo che, a differenza deli farmaci, i vaccini sono usati per la profilassi in una popolazione sana, non per curare le malattie, e sono sottoposti a una serie di trial clinici, per trovare una correlazione tra risposta immunitaria e antigene.

Gli effetti collaterali comuni seguono normalmente i primi 2 giorni dalla vaccinazione e riflettono la risposta infiammatoria e immunitaria, che porta allo sviluppo della protezione vaccinale: parliamo di dolore nel punto di inoculazione, febbre, malessere e mal di testa.

Anche nel caso di soggetti immunodepressi, sebbene si pensi che sia rischioso, è possibile utilizzare vaccini con organismi inattivati, purificati o uccisi o, in alternativa, componenti proteiche e/o polisaccaridi di un patogeno. La sicurezza è data dall’impossibilità di replicarsi e, dunque, dall’assenza di effetti collaterali. Si consideri che con questi soggetti non è possibile ottenere l’induzione dell’immunità, anche in base al livello di immunodeficienza.

Esistono effetti collaterali significativi rari, ma non sono normalmente visibili durante i trial clinici, siccome la loro rilevanza statistica è così ridotta, da essere rilevabile solo nella sorveglianza successiva alla vaccinazione della popolazione.

Per esempio, si consideri lo shock anafilattico, che ha un’incidenza di 1 caso ogni milione di dosi.

Il rischio di ospedalizzazione, morte o morbilità di lungo periodo della malattia per la quale è stato sviluppato un vaccino è talmente alto che, a confronto, il rischio di un vaccino – dolore locale e febbre – e i rarissimi effetti collaterali significativi vengono letteralmente schiacciati.

Per ultimo, un accenno al mito del sovraccarico immunologico: sebbene il numero di vaccini nei programmi di immunizzazione sia aumentato, il numero totale di antigeni si è ridotto di un ordine di grandezza, da circa 3200 a 320, grazie alla riduzione del vaccino contro il vaiolo e la sostituzione del vaccino per la pertosse con una versione acellulare. Come se ciò non bastasse, i vaccini sono solo una minuscola frazione degli antigeni a cui siamo naturalmente esposti nel corso della vita.

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Simone Brazzi
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