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LE IMPLICAZIONI DEL PRINCIPIO DI LEGALITÀ

Il principio di legalità rappresenta uno dei principi fondamentali sanciti dalla nostra Carta costituzionale, noto a tutti, infatti, l’articolo 25 della Costituzione secondo cui ‘nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso’.

Il concetto di legalità però non arriva con la Costituzione del 1948 ma con la rivoluzione angloamericana e poi con la rivoluzione francese, da questi eventi deriva infatti il principio del ‘nullum crimen nulla poena sine lege’, principio garantista ripreso poi anche da Feuerbach e ravvisabile nella necessità di una conoscenza anticipata delle fattispecie di reato; vige quindi, un divieto di punire un fatto non previsto espressamente come reato dalla legge vigente al momento della sua commissione.

Questo principio, oggi, ci sembra scontato, in quanto va a tutelare la libertà del singolo individuo che non può essere punito per un fatto avvertito come offensivo, antisociale e pericoloso se non previsto dalla legge come reato; questa affermazione ci consegna una concezione formale di reato, a cui sono direttamente ricollegabili i principi di riserva di legge, di irretroattività della legge penale e di tassatività.

Al principio formale di legalità si contrappone la visione sostanziale, che considera reati i fatti socialmente pericolosi, indipendentemente dall’espressa incriminazione degli stessi all’interno del codice, da punire con pene adeguate allo scopo. Il concetto base qui diventa quello di condotta deviante, che offende l’ordine sociale, rendendo così astrattamente punibili tutte le condotte che vengono considerate socialmente pericolose e non previste dalla legge, e per converso non sono punibili quelle condotte previste dalla legge ma che non sono reputate socialmente pericolose.

La concezione sostanziale, rispetto a quella formale, consente una difesa sociale più efficace in quanto l’adeguamento del diritto penale alla società sempre in divenire diventa più agevole. In questo modo si supera la possibilità, intrinseca nella concezione formale, di sfruttare le imperfezioni e le lacune delle previsioni normativi che consentono ai soggetti di porre in essere azioni offensive ma in astratto non riconducibili ad una fattispecie. L’applicazione del principio sostanziale però va a ledere il principio di certezza del diritto, generando il rischio di arbitrarietà e di possibili discriminazioni in sede applicativa. Da qui si capisce l’importanza del principio espresso all’inizio del ‘nullum crimen nulla poena sine lege’, a cui si ricollega l’articolo 25 della nostra Costituzione.

Il nostro ordinamento però non accetta né una concezione meramente formale, né una meramente sostanziale, in quanto non idonee, ma ne prevede una mista, in quanto il fatto deve essere previsto dalla legge come reato, ma non solo; infatti deve essere rispettato il principio di irretroattività e tassatività della legge penale, deve essere riconducibile al soggetto sul piano causale e psicologico (colpevolezza), la pena inoltre deve essere rivolta alla rieducazione del condannato e proporzionata al bene protetto dalla norma e alla personalità dell’agente.

Al principio di legalità del reato si collega, inevitabilmente, il principio di legalità della pena, il cui rango costituzionale è oggi pacificamente annesso; lo stesso impone che sia la legge a prevedere l’intero trattamento sanzionatorio con riferimento sia alle pene principali che a quelle accessorie ed agli effetti penali.

L’unico tassello che manca per completare la trattazione è quello della discrezionalità riservata al giudice riguardo l’individualizzazione della sanzione, che potrebbe risultare in contrasto con le varie declinazioni del principio di legalità. L’apparente contrasto viene superato se consideriamo il fatto che, con un sistema rigido di predeterminazione legislativa, non è possibile attuare una gradazione della sanzione rispetto al disvalore del fatto concreto, ciò quindi farebbe venir meno la funzione rieducativa della pena sancita dalla costituzione. La previsione di una discrezionalità in capo al giudice è però limitata con la previsione di una cornice edittale, individuando dei limiti minimi e massimi al cui interno il giudice deve tenersi, individuando la sanzione più adeguata al caso concreto. Questa concezione è stata confermata dalla Corte Costituzionale nel 2017 e nel 2019, infatti la Consulta ha precisato che le pene proporzionali sono commisurate alla gravità dell’offesa rispettano i principi di eguaglianza, di legalità, personalità ed individualizzazione della pena e rispondono alle prescrizioni dell’articolo 27 della Costituzione, che sancisce anche la funzione rieducativa della pena

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