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L’Italia senza Alitalia. E se non ci fosse spazio per un Hub?

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Continuano le interlocuzioni del governo con la Commissione Europea per le Alitalia, si sta infatti procedendo a richiedere sempre nuove autorizzazioni per sussidiare la vecchia Alitalia in Amministrazione Straordinaria per coprire le spese in tempo di Covid e allo stesso tempo, si lavora sul fronte della nuova Alitalia, ITA, per riuscire a ottenere un via libera per la nuova società smussando le richieste della Commissione. Questo progetto non vede sostanzialmente opposizione in Italia, se non quella di chi chiede di partire con più aerei e con più soldi (e quella nostra che vorremmo lasciare che il mercato faccia il suo corso). È visione bipartisan che sia necessario un vettore aereo in Italia, per garantire i collegamenti, il turismo e il business. 

Rispondere a questa idea dura a morire è fondamentale insieme a ricordare il costo che Alitalia crea ogni anno per i contribuenti italiani. Se si lasciasse passare che la strategicità della compagnia sia un fatto reale, il problema del costo potrebbe, se non scomparire, passare in secondo piano.

L’idea dell’hub carrier europeo che serve per il turismo è debole, ne abbiamo già scritto, ma in generale è forse arrivato il momento di considerare che nel nostro paese possa non esserci un hub carrier, e non è detto che sia un male.

Il consolidamento del mercato aereo

Il quadro da guardare è quello del consolidamento del settore aereo. Come trattato la settimana scorsa quello europeo è ormai un mercato unico per l’aviazione, come quello degli Stati Uniti post deregulation. Dall’altra parte dell’Atlantico il processo è iniziato circa due decenni prima ed è in una fase più avanzata e questo ci consente di provare a tirare alcune previsioni sull’andamento del settore in Europa e anche apprendere qualche lezione per non ripetere gli stessi errori.

Il mercato statunitense è decisamente più concentrato, calcolando il valore di HHI con i quadrati delle merket share in Europa Occidentale questo è arrivato a 600, negli Stati Uniti è 1500 in una scala che va da 0 (concorrenza perfetta) a 10000 (monopolio).

Il risultato nordamericano è il prodotto di un processo di consolidamento del mercato che ha sostanzialmente visto nell’ultima fase gli abbinamenti delle compagnie aeree e che ha prodotto i gruppi che oggi sono evidentemente prevalenti. Le tre major Delta Air Lines, American Airlines, United e la low-cost Southwest sono chiaramente le 4 compagnie aeree che si spartiscono il grosso del mercato.

In Europa ci sono già alcuni gruppi che sembrano avviati verso questo ruolo. Ci sono le due low-cost Ryanair ed Easyjet (anche se bisogna vedere che piani avrà per il post-covid) e i tre gruppi multi-hub IAG, Lufthansa e AirFrance-KLM anche se non hanno ancora le quote di mercato per vedere lo scenario americano come prossimo, anche perché le principali compagnie, avendo ricevuto aiuti di stato per il periodo pandemico, dovranno sottostare ad alcune restrizioni sul M&A finché non avranno restituito quanto ricevuto.

Consolidamento di aziende, consolidamento di hub

Quello descritto finora è un fenomeno di consolidamento di imprese del settore. Una volta realizzato il deal si deve passare alla fase successiva di implementazione e uno degli aspetti da considerare, guardando agli Stati Uniti, è che al consolidamento delle società corrisponde un consolidamento degli hub, che vengono ridotti di numero a livello continentale. 

Come riportato da un articolo su FlightGlobal (ormai non recentissimo) nel processo di consolidamento negli Stati Uniti molti aeroporti che nei decenni precedenti al consolidamento erano degli hub delle compagnie hanno perso questo status. È stata la sorte di Cleveland, Memphis, Pittsburg, San Jose, St.Louis e Cincinnati.

Qualche aeroporto viene sacrificato e non tutti i 50 stati della federazione hanno all’interno dei propri confini un aeroporto definibile come hub, ma questo non sembra aver causato una generalizzata devastazione economica come profetizzato dai sostenitori della Alitalia viva a tutti i costi. 

In Europa è ragionevole aspettarsi una tendenza simile ma con la differenza che a differenza degli Stati Uniti nella nostra Europa ci sono 27 nazionalismi che potrebbero mal conciliarsi con la possibilità di perdere un hub all’interno di ciascun paese. Il mercato in questo si trova davanti al serio rischio di trovare opposizioni politiche forti.

Fiumicino hub d’Italia?

La sentenza sembra chiara: il mercato prova periodicamente a espellere Alitalia, purtroppo salvata ogni volta a spese dei contribuenti e nell’immediato Fiumicino sarebbe candidato a saltare come hub (anche se già oggi è al limite per essere definito tale). Un salvataggio privato (ma forse anche il prossimo salvataggio pubblico) comporterebbe un forte ridimensionamento che ridurrebbe la compagnia a servire un po’ di rotte di lungo raggio che si reggono da sé e probabilmente a supportare per le altre rotte un hub del gruppo.

Nonostante i sostenitori del salvataggio a oltranza, non sarebbe la fine del trasporto aereo in Italia. Già oggi considerare Fiumicino hub di tutta l’Italia è difficile. Il Nord Italia, che è la zona più competitiva del paese non ha un hub vero e proprio. Chi abita a nord del Po semplicemente sfrutta alcuni aeroporti trafficati come Malpensa e Venezia che hanno sia voli di lungo raggio di compagnie straniere che voli operati dalle compagnie low-cost e in generale possono raggiungere qualunque destinazione nel mondo con uno scalo in Germania, Francia, Regno Unito, Irlanda o Spagna. Questo anche perché la posizione di Roma è tutt’altro che favorevole per servire le tratte Nord Italia – Nord America che rappresentano molta della domanda di lungo raggio.

Il consolidamento di mercato e di hub è un processo in corso, questo non esclude che una volta liberato da una compagnia di bandiera, qualcuno decida di provare a costituire un hub carrier in Italia ma abbiamo ragione di non temere troppo lo scenario in cui questo non dovesse accadere.

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