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Salario minimo: cosa ci dicono i numeri?

Introduzione

In economia ci sono dei temi che difficilmente moriranno e che, dopo un po’, tornano in tendenza grazie (anche) alla discussione che alimentano. Il salario minimo è uno di questi: dopo gli studi del premio Nobel David Card questo tema è tornato ad essere al centro del dibattito pubblico tra economisti (e non) e che rappresenta l’argomento dell’articolo che si accinge a cominciare.

Salario minimo: di cosa si tratta

Cominciamo. Il salario minimo, come è facilmente intuibile, è una misura che consiste nell’imporre una retribuzione oraria minima sotto la quale è per legge vietato scendere. Si tratta di un provvedimento che ricade nella categoria dei “price ceilings” volti a fissare un determinato prezzo al di fuori delle logiche di domanda e offerta i cui effetti sono visibili nella figura seguente:

Gli effetti del salario minimo

La figura precedente mostra gli effetti della misura: “ND” è la domanda di lavoro, “Nd” è la quantità domandata di lavoro; “NS” è l’offerta di lavoro, “Ns” è la quantità offerta di lavoro, “N*” è la quantità di lavoro di equilibrio, “W*” è il salario di equilibrio mentre “Wmin” è il salario minimo imposto. Possiamo vedere che al salario di mercato si raggiunge un equilibrio in cui tutti i lavoratori che volevano trovare un’occupazione a quel salario trovano lavoro (c.d. equilibrio di “market clearing”) mentre con l’imposizione di un minimo salariale c’è una differenza positiva tra la quantità di lavoro offerta e domandata; cosa – questa – che provoca disoccupazione.

Salario minimo: cosa ci dicono i dati?

Di seguito presentiamo, dopo aver esposto la teoria, delle ricerche in merito a questo tema, dando un’occhiata ai dati.

Lo studio di Cenigz, Dube, Lindner e Zipperer

Un primo studio sugli effetti di questa misura è contenuto nel volume 134 dell’agosto 2019 dell’American Economic Review, condotto da Cenigz, Dube, Lindner e Zipperer.

Costoro tentano di stimare l’effetto dei salari minimi sui lavori a basso salario utilizzando 138 importanti cambiamenti salariali minimi a livello statale tra il 1979 e il 2016 negli Stati Uniti. Dapprima stimano l’effetto dell’aumento del salario minimo sulle variazioni dell’occupazione da parte dei contenitori salariali lungo la distribuzione del salario orario. Si concentrano quindi sulla parte inferiore della distribuzione salariale e confrontano il numero di posti di lavoro in eccesso che pagano un salario pari o poco superiore al nuovo salario minimo con i posti di lavoro mancanti che pagano al di sotto di esso per dedurre l’effetto sull’occupazione.

Da questo studio risulterebbe che il numero complessivo di posti di lavoro a basso salario è rimasto sostanzialmente invariato nei cinque anni successivi all’aumento. Allo stesso tempo, l’effetto diretto del salario minimo sulla retribuzione media è stato amplificato da modeste variazioni salariali nella parte inferiore della distribuzione salariale.

L’impatto del salario minimo sulla distribuzione di frequenza dei salari
Impatto del salario minimo sulla distribuzione dei salari

Le stime per gruppi demografici dettagliati mostrano che la mancata perdita di posti di lavoro non è spiegata dalla sostituzione lavoro-lavoro nella parte inferiore della distribuzione salariale; inoltre, gli autori non trovano prove di disoccupazione direttamente causata dal salario minimo. Tuttavia, ci sono alcune prove di riduzione dell’occupazione nei settori “tradable”; mostrando anche come la scomposizione dell’effetto complessivo sull’occupazione per i diversi comparti sia un modo trasparente di valutare la plausibilità delle stime.

Lo studio di Neumark e Shirley sul salario minimo

Un secondo studio sul tema ci viene dato da David Neumark e Peter Shirley, economisti dell’ente americano NBER, in un loro working paper.

Tale studio, rappresentando una revisione degli studi precedenti, giunge a conclusioni opposte a quello precedente. In particolare, nel paper degli economisti del NBER, si conclude che il salario minimo sia una misura che impatta negativamente sull’occupazione e, in particolare, quella dei “low skilled workers”. Come fanno notare gli autori, infatti,

Ci sono prove di forti effetti negativi effetti sull’occupazione per gli adolescenti, i giovani adulti, i lavoratori meno istruiti e direttamente colpiti (a basso salario), con le elasticità stimate generalmente maggiori per i meno istruiti rispetto agli adolescenti e ai giovani adulti, e ancora maggiori per i lavoratori direttamente interessati.

, concludendo che:

Nella sua totalità, questo corpo di prove e conclusioni punta fortemente verso gli effetti negativi dei salari minimi sull’occupazione dei lavoratori meno qualificati.

Il contributo di David Card

L’ultimo studio sul tema proviene, infine, dal neo Premio Nobel David Card, economista del MIT. Tale importanza è dovuta, più che per il risultato ottenuto, per il metodo utilizzato (simile, per certi versi, al primo studio citato): egli infatti applica, per la prima volta, al mondo della labour economics quella che si chiama “economia sperimentale”, cioè un approccio che tratta i fatti economici come degli “esperimenti di laboratorio” per trarre delle conclusioni relative ad uno specifico tema.

In questo caso, l’applicazione dell’economia sperimentale a questo tema consiste nell’aver confrontato l’occupazione in certo settore in due Stati federati degli USA diversi (New Jersey e Pennsylvania) in cui nello stesso periodo di tempo e a parità di andamento di numero di occupati vi è stata una differenza di implementazione della policy del salario minimo: in un caso è stato alzato rispetto a quello fissato a livello federale mentre nell’altro no. Stando a quanto detto all’inizio dell’articolo, avremmo dovuto assistere ad un calo dell’occupazione nel settore del New Jersey ma, stando al metodo utilizzato da Card, tale differenza negativa non solo non c’è stata ma anzi ha avuto una direzione opposta a quella cui siamo abituati a pensare.  

Conclusioni

Il salario minimo è un tema complesso, i cui effetti sono ad oggi ancora incerti. Come tale, esso deve essere trattato con pragmatismo. Purtroppo, essendo un tema sempre più sentito dalla popolazione, è esposto a facili strumentalizzazioni da parte di interessi di parte; i quali – non curandosi dei dati – distorcono i fatti economici in funzione di interessi particolari. Sta agli studiosi riportare la discussione sul piano dei dati e non, al contrario, su quello dell’ideologia.

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