Economia

L’economia italiana e il divario nord-sud

Un lavoro recente della Banca d’Italia ricostruisce gli andamenti dell’economia italiana, distinguendo due macro aree del Paese, Centro-Nord e Mezzogiorno, a partire dagli anni cinquanta.

Gli andamenti del PIL, dell’accumulazione del capitale e della produttività disegnano un percorso di progressivo rallentamento dell’Italia. Pur interessando l’intero Paese, si è accompagnato a un ampliamento del divario di sviluppo tra Nord e Sud, già elevato in tutte le dimensioni. Il rallentamento della crescita si è associato a una stagnazione della produttività e, dopo il 2009, dell’accumulazione del capitale e del fattore lavoro.

Una TFP stagnante già dagli anni 90′

L’analisi storica delinea un progressivo rallentamento della crescita in Italia tra gli anni cinquanta e la crisi finanziaria del 2008; la crescita si è sostanzialmente arrestata dalla fine degli anni novanta guidato da una stagnante produttività totale dei fattori (PTF). Il prodotto interno lordo è diminuito, riflettendo sul piano contabile la stagnazione della PTF; ha inciso anche la riduzione, più marcata nel Mezzogiorno, dell’accumulazione di capitale e dell’utilizzo del fattore lavoro. Da inizio anni 2000 entrambe le aree del Paese hanno perduto terreno rispetto alle regioni europee con simili livelli di sviluppo di partenza. Il differenziale in termini di PIL/abitante tra Mezzogiorno e Centro-Nord, dopo aver toccato un minimo di circa il 40% tra gli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta, è tornato ad ampliarsi, portandosi al 45% alla vigilia della pandemia.

Nel tempo è cresciuto il divario a sfavore del Mezzogiorno nei livelli delle ore lavorate in rapporto alla popolazione 15-64 anni; questo spiega attualmente oltre la metà della differenza nei livelli del PIL per abitante tra le due macro aree; il resto è spiegato dalla minore produttività media del lavoro nelle regioni meridionali, riconducibile a un più basso livello della PTF (fig. 1).

E’ necessaria un’accelerazione degli investimenti

Il rapporto tra investimenti/PIL, che tra gli anni sessanta e gli inizi degli anni novanta è stato più elevato nel Mezzogiorno grazie agli investimenti in infrastrutture e delle partecipazioni statali, si è portato su valori di poco superiori a quelli del Centro-Nord. E’ sceso poi su livelli inferiori alla media nazionale dopo la crisi dei debiti sovrani, contribuendo a frenare lo sviluppo dell’area. Alla vigilia della pandemia da Covid-19, per tornare a crescere, l’Italia e il Mezzogiorno mostravano la necessità di un’accelerazione della produttività del lavoro, di un recupero degli investimenti e di un aumento della partecipazione al mercato del lavoro e dell’occupazione. Questo purtroppo ancora non è avvenuto e con l’inflazione galoppante e un PIL non trainante sarà dura uscirne bene.

In prospettiva, se la produttività rimanesse costante, gli scenari, dell’Istat prefigurano una contrazione dell’economia italiana a partire dalla seconda metà del decennio in corso (fig. 2 scenario 1). La riduzione sarebbe più accentuata nel Mezzogiorno, caratterizzato da tendenze demografiche peggiori, anche a causa del saldo migratorio negativo. Per evitare il calo servirebbe un’evoluzione particolarmente favorevole della partecipazione al mercato del lavoro (scenario 2 e 3, fig. 2).

Aspettando la mancata convergenza tra Nord e Sud

Assumendo invece che tra il 2024 e il 2040 la produttività aumenti in entrambe le macroaree ai ritmi previsti dall’Ageing report della Commissione Europea per l’intera area dell’euro (1,2 per cento), il tasso di crescita del PIL italiano sarebbe di poco inferiore all’1 per cento all’anno (0,8); anche se la partecipazione al mercato del lavoro per cella demografica seguisse il trend di moderata crescita registrato prima della pandemia (scenario 1, fig. 3). Un ulteriore miglioramento della partecipazione permetterebbe di conseguire tassi di crescita medi prossimi all’1,5 per cento (scenario 2, fig. 3). Infine, l’avvio di un processo di convergenza tra Mezzogiorno e Centro-Nord, garantirebbe un contributo alla crescita dell’economia meridionale, andando a migliorare l’intero Paese (fig. 3 scenario 3).

In assenza di convergenza nel mercato del lavoro o nei livelli di produttività tra le due aree, nel prossimo ventennio il divario % di PIL per abitante resterebbe invariato. Il differenziale Nord-Sud si ridurrebbe invece di oltre 5 punti nel caso di convergenza nei livelli dei tassi di attività per le coorti più giovani; una riduzione del differenziale nel tasso di disoccupazione giungerebbe quasi ad annullarsi se a ciò si aggiungesse una piena convergenza nei livelli di produttività tra le due aree.

Il Mezzogiorno purtroppo non aiuta la crescita

Qualcosa di positivo è che lo stock di capitale per unità di prodotto, a causa della più bassa produttività totale dei fattori (PTF) e del basso impiego del lavoro, si mantiene nel Mezzogiorno su livelli più elevati rispetto alla media nazionale.

Il Mezzogiorno però rimane inoltre caratterizzato da un tasso di attività estremamente basso, soprattutto a causa della scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro. Perché la partecipazione nel Mezzogiorno possa crescere in misura significativa sarebbe tuttavia verosimilmente necessario creare i presupposti per un aumento della domanda di lavoro che, alle condizioni salariali e di produttività date, è al momento chiaramente insufficiente.

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