Attualità, Politica

Recovery Fund ostaggio dei nazionalisti europei?

La scorsa settimana la Commissione europea ha presentato il suo piano per finanziare Next Generation Eu, che comprende il Recovery Fund: fino al 2026 verranno raccolti sui mercati 150 miliardi di euro all’anno, per un totale di 806 miliardi in totale (la cifra di 750 miliardi di cui si parla è a prezzi del 2018). La durata dei titoli sarà variabile, da 3 a 30 anni, con rendimenti attesi che dovrebbero essere negativi o vicini allo zero, mentre si prevede anche l’introduzione di obbligazioni con scadenza inferiore all’anno. Con un recente tweet, Ursula von der Leyen ha inoltre detto che il 30% delle risorse sarà raccolto attraverso l’emissione di green bonds. L’obiettivo dell’UE sarebbe distribuire la prima tranche dei fondi del Recovery Fund entro l’inizio dell’estate, a partire da giugno o luglio. Tuttavia, tutto dipenderà dal rispetto delle tempistiche prestabilite da parte dei vari paesi europei, come annunciato da Johannes Hahn, commissario europeo per il Bilancio: “la Commissione sarà pronta ad andare sui mercati non appena tutti gli Stati membri avranno completato il processo di ratifica” della Decisione sulle Risorse Proprie, ovvero lo strumento legale che consente alla Commissione di contrarre prestiti nell’ambito di NGEU, aumentando l’importo massimo di fondi che l’UE può richiedere agli stati membri per finanziare le proprie spese.  La differenza tra questo massimale e la spesa effettiva definisce la cosiddetta headroom, ovvero il margine di manovra di bilancio necessario per sostenere ulteriori passività, e serve come garanzia per la contrazione di prestiti da parte dell’Unione. In origine, le tempistiche dettate da Commissione e Consiglio prevedevano di presentare tutti i piani entro il 30 aprile, contemporaneamente alla ratifica della Own Resources Decision per permettere alla Commissione di emettere titoli di debito sui mercati. Per quanto riguarda i piani nazionali, una volta che tutti i paesi li avranno consegnati la Commissione avrà due mesi per la valutazione e il Consiglio un altro mese per l’approvazione.

Per adesso, 23 Stati hanno presentato le bozze dei loro piani ma nessuno ha presentato la versione ufficiale. L’Italia ha ratificato la decisione sulle risorse proprie il 5 marzo, mentre il 14 aprile il Senato ha dato il via libera al piano, ma servirà altro tempo per apportare alcune modifiche prima della presentazione formale a Bruxelles. Ciò che più preoccupa quest’ultima però è appunto la ratifica delle decisioni sulle risorse proprie da parte dei Parlamenti nazionali: finora sono 17 i paesi ad averla ratificata, mentre molti altri (Estonia, Polonia, Ungheria, Austria, Finlandia, Romania, Paesi Bassi, Irlanda, Lituania e Germania) mancano ancora all’appello. I tempi dunque potrebbero allungarsi, mentre emergono alcuni imprevisti, come la possibile crisi di governo a Varsavia e la sospensione della ratifica della decisione sulle risorse proprie a Berlino.

La ratifica del Recovery Plan rischia per l’appunto di trasformarsi in una crisi politica in Polonia, dove il 13 aprile il Parlamento ha rinviato il voto di ratifica, stante le divisioni interne alla coalizione di governo : mentre il partito Pis (Law and Justice), leader della coalizione di governo, è favorevole alla ratifica, il partito nazionalista Polonia Solidale, seconda forza politica della maggioranza parlamentare, minaccia di votare contro la decisione, dicendosi contrario alla clausola sul rispetto dello Stato di diritto. Secondo diversi osservatori, la posizione di Polonia Solidale sarebbe un tentativo di strappare voti al PiS, in vista delle elezioni parlamentari del 2023. Inoltre, la Polonia non ha ancora trovato un accordo con la Commissione europea – che chiede impegni maggiori su progetti a lungo termine come la riforma della giustizia -, rispetto all’impiego delle risorse del proprio piano di ripresa. Per riassumere, “loro chiedono riforme, noi vogliamo che la gente torni a spendere e l’economia riprenda a girare”, come affermato dal ministro delle Finanze polacco Tadeusz Koscinski in un’intervista rilasciata al FT. Ad ogni modo, fonti interne al governo però assicurano che la ratifica avverrà comunque entro fine mese, perché tutti i partiti della coalizione avrebbero da rimetterci in caso di voto contrario: sarebbe “suicida” non approvare il Recovery Fund, come avvertito dallo stesso ministro delle Finanze.

E come se non bastassero i conflitti interni alla coalizione di governo polacca, il Recovery Fund è anche “ostaggio” dei giudici costituzionali di Karlsruhe in Germania; finché la Corte non si pronuncerà in senso favorevole, il presidente Frank-Walter Steinmeier non potrà infatti procedere alla ratifica della legge sulle risorse proprie. Per ricapitolare i fatti, a fine marzo il Bundestag si è espresso per due terzi a favore della ratifica, mentre il Bundesrat (la camera dei Laender) ha votato all’unanimità.  Sebbene ormai data per scontata, la firma finale del presidente della Repubblica federale Steinmeier è però stata bloccata in via momentanea dalla Corte Costituzionale tedesca, che ha ordinato al presidente di non procedere alla ratifica dello strumento giuridico fino al proprio pronunciamento. Tale decisione avviene sulla base di un ricorso avanzato da 2.280 cittadini tedeschi, depositato presso la corte di Karlsruhe e firmato dal movimento politico “Bundnis Buergerwille” (“volontà dei cittadini”), un gruppo legato a Bernd Lucke, economista euroscettico e fondatore del partito di estrema destra Alternative fur Deutschland (Afd). Essenzialmente, nel ricorso si sostiene una presunta incostituzionalità del Recovery Fund, per due motivi principali: in primis, la modalità di finanziamento del RF sarebbe in contrasto con la costituzione tedesca, in quanto implicherebbe una forma di condivisione del debito per la Germania, su cui ricadrebbe il debito contratto per conto degli altri paesi Ue nel caso in cui questi si verificassero insolventi. Inoltre, secondo quanto dichiarato da Lucke, il Recovery Fund costituirebbe una violazione dei trattati europei, in particolare degli articoli 311 del TFUE, in quanto l’Unione europea si finanzierebbe sui mercati emettendo titoli di debito comune, creando una mutualizzazione del debito che vincolerebbe gli stati oltre quanto previsto dai trattati. Secondo quanto sostenuto, la ratifica della Own Resources decision significherebbe l’inizio di un progressivo cammino verso un’Unione fiscale europea, dunque il Recovery Fund rappresenterebbe un primo step verso la permanente istituzione di un meccanismo per l’emissione di debito comunitario. In realtà, come si è affrettata ad affermare la cancelliera Merkel, i cosiddetti recovery bond sono solo temporanei, pertanto non si tratta di una affatto di una forma di condivisione del debito permanente. Next Generation EU, che certo potrebbe rappresentare un importante passo avanti nel processo di integrazione comunitaria, non prevede una condivisione perpetua del debito europeo, ma è sostanzialmente una misura di emergenza, nata per fronteggiare la crisi attuale, e che molto probabilmente verrà abbandonata non appena le cose torneranno alla normalità.

Ad ogni modo, già diversi osservatori ritengono sia molto plausibile che si tratti di un “falso allarme”, e che, anche in ragione dell’ampia maggioranza parlamentare che ha sostenuto il voto sulle risorse proprie, la Corte dovrebbe pronunciarsi in senso favorevole entro poche settimane – con buona pace dei soliti disfattisti che hanno già annunciato la morte del Recovery Fund – . Anche il ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz si è detto comunque ottimista sul superamento dell’attuale impasse, sostenendo che il governo “è ben attrezzato” per sostenere ricorsi alla Corte costituzionale: “l’esperienza con altre denunce analoghe mi rendono fiducioso circa il fatto che la ratifica possa essere conclusa in tempi brevi” – non è infatti, come si ricorderà, la prima “doccia fredda” a cui la Corte costituzionale tedesca sottopone l’Europa.

Una volta ottenuta la ratifica di tutti i paesi, e superati gli ostacoli emersi in Germania e Polonia, la Commissione dovrebbe quindi essere in grado di emettere titoli sui mercati entro quest’estate. I paesi che hanno presentato per primi i loro PNRR, e che ne hanno avuto l’approvazione da parte di Commissione e Consiglio, dovrebbero ricevere già a luglio i fondi della prima tranche di prefinanziamento, pari al 13% del totale (45 miliardi di euro), sulla base dell’ordine di consegna dei piani, mentre gli ultimi che invieranno i propri piani a Bruxelles potrebbero avere accesso ai fondi solo a settembre. Secondo il commissario Dombrovskis, tra i paesi più avanti sul recovery plan ci sono Spagna, Francia, Grecia, Portogallo e Slovacchia. Per quanto riguarda il debito del Recovery Fund, ricordiamo che la parte dei prestiti sarà restituita dai governi che ne beneficeranno, mentre la quota a fondo perduto sarà appunto finanziata tramite l’introduzione nuove risorse proprie comunitarie (tasse o prelievi europei); una prima proposta per l’introduzione di almeno tre risorse proprie (una digital tax, carbon tax e l’estensione del sistema degli scambi di emissioni, ETS) dovrebbe essere presentata a giugno.

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